05/02/2009, 00.00
INDIA
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P. Edward, fra le prime vittime dell’Orissa, incontra i suoi persecutori

di Nirmala Carvalho
Ha rischiato di morire carbonizzato, come la sua aiutante Rajni Majhi. Dopo un periodo di cure è tornato in Orissa, per capire il perché di questa violenza, “personificazione del male”, ma anche per perdonare i suoi assalitori. La regione è ancora insicura e svuotata di cristiani, che non potranno nemmeno partecipare alle prossime elezioni. Un appello alla comunità internazionale.

Bhubaneshwar (AsiaNews) - P. Edward Sequeira è una delle prime vittime del pogrom contro i cristiani lanciato dagli estremisti indù lo scorso agosto nel distretto di Kandhamal (Orissa). Il sacerdote verbita lavorava da decenni in un lebbrosario e in un orfanotrofio che raccoglieva bambine abbandonate. Proprio lì, il 25 agosto, l’orda di quelli che egli chiama “terroristi”, lo hanno preso, battuto, lasciato privo di sensi, cercando di bruciarlo vivo. È riuscito a salvarsi dal soffocamento e dall’incendio, quando rinvenendo, si è infilato nel piccolo bagno della stanza. Prima di perdere ancora i sensi ha sentito le urla di una sua giovane aiutante, Rajni Majhi che, dopo essere stata stuprata, è stata legata e buttata nelle fiamme, morendo carbonizzata (Cfr . AsiaNews.it,  P. Edward, scampato al rogo in Orissa: I radicali indù sono terroristi). Nell’intervista che presentiamo (nella foto: P. Edward con Nirmala Carvalho) egli racconta del suo incontro con i suoi assalitori, per scoprire il perché di quella violenza. Ma soprattutto egli parla del “disastro umanitario” in Orissa, dove oltre 50 mila cristiani sono stati strappati dalla loro terra e vagano nel timore di essere ancora preda delle violenze degli estremisti. Il sacerdote denuncia pure i disegni politici che si stanno realizzando proprio attraverso gli attacchi contro i cristiani, che non potranno votare alle prossime elezioni. E domanda alla comunità internazionale di avere a cuore anche questa situazione dove la dignità umana è stata umiliata, per far sì che la globalizzazione sia anche solidarietà internazionale.

 Dal giorno dell’attacco contro di lui, p. Edward ha passato solo 9 giorni in un ospedale a Mumbai. Ma dall’11 settembre scorso è tornato in Orissa. Soffre ancora le conseguenze delle violenze subite: mal di testa, spalle doloranti, ferite ancora non rimarginate alle braccia e alle gambe. È passato anche attraverso lunghi attacchi di malaria  e di tifo. Si è fatto crescere la barba per non farsi riconoscere perché ci sono minacce sulla sua vita. Per un mese è stato nascosto e ora cambia di continuo la sua residenza.

Per l’orfanotrofio distrutto e le sue ferite il governo gli ha offerto 20 mila rupie (315 euro). Le formalità per la richiesta sono finite il novembre scorso, ma fino ad ora non ha ricevuto nulla. Ai genitori di Rajni Majhi hanno dato 200 mila rupie, divise fra i genitori biologici e quelli adottivi.

P. Edward è riuscito diverse volte, in incognito, a tornare al lebbrosario e all’orfanotrofio di Pandampur, dove ha rischiato di essere ucciso. È perfino andato a visitare i suoi assalitori in prigione, domandando loro il perché i tutta quella violenza e offrendo il perdono per il cambiamento del loro cuore. Il sacerdote ricorda che in tutti questi anni è stato spesso vittima delle violenze indù: è stato picchiato nel ’97, nel 2004 e nel 2008. A maggio celebra i 25 anni di ordinazione e commenta: “Ho ricevuto da Dio un immenso dono: Egli mi ha trovato degno di soffrire per Lui”.

“Per l’attacco contro di me, l’uccisione di Rajni e la distruzione dell’orfanotrofio – racconta – sono state arrestate 21 persone. Di queste, 5 vendevano il latte all’orfanotrofio; alcuni erano la mia squadra di muratori; altri li avevo curati perché sono stati lebbrosi, o li accompagnavo spesso all’ospedale”.

“Sono andato al lebbrosario e ho domandato loro: Cosa avete contro di me? Che male vi ho fatto? Mi hanno detto che l’attacco contro l’orfanotrofio e le violenze contro di me erano stati programmati con molta meticolosità. Alcuni hanno provato rimorso, altri hanno alzato le spalle dicendo che erano solo degli esecutori; la maggior parte di coloro che mi hanno picchiato sono estremisti indù dell’Rss (Rashtriya Swayamsevak Sangh) o del Vhp (Vishwa Hindu Parishad)”.

“Sono andato a trovarli. Dovevo sapere il perchè. Questa è gente a cui io ho pulito le ferite infestate di vermi; ho curato i loro bambini, eppure mi hanno picchiato brutalmente e hanno tentato di bruciarmi vivo. Queste sono le stesse persone che venivano alla mia missione [l’orfanotrofio] per ricevere dei soldi in cambio di lavoretti, o mi domandavano favori che io facevo loro con generosità. Eppure non hanno avuto alcun ritegno a maltrattarmi, a bruciare viva Rajni, dopo averla sottoposta a uno stupro di gruppo.

Ho detto loro che li perdonavo, che le mie ferite erano una grazia per loro e che offrivo le mie sofferenze perché si pentissero del loro male”.

“L’elemento più tragico è questo: la maggior parte della gente di questi villaggi è stata testimone delle mie battiture e della morte atroce di Rajni. Eppure nessuno di loro è uscito per testimoniare. Nel novembre scorso, con un permesso ufficiale, sono andato in prigione dove erano rinchiusi 5 assalitori, tutti provenienti dal mio villaggio. Quando mi hanno visto sono rimasti sorpresi e scossi. Erano circolate voci che mi credevano morto. Ho fatto loro la stessa domanda: ‘Che male vi ho fatto, perché mi avete picchiato e avete bruciato la povera Rajni?’. Anche loro mi hanno dato la stessa risposta, che non avevano pianificato nulla, ma erano solo gli esecutori di un ordine.

“Prima di andare ho mostrato loro le mie ferite alla spalla, alla testa, alle mani e ai piedi e ho detto loro che li perdonavo e che offrivo le mie ferite perché la Grazia di Dio li illuminasse e li salvasse. Ho detto loro che continuerò a servirli e a pregare per essi ogni giorno, perché Dio dia loro un’esperienza di amore e riconciliazione”.

Il sacerdote è deciso a rimanere a Kandhamal: “I 20 orfani che io avevo in cura, ora sono in alcune strutture governative; 8 di loro sono stati ammessi a forza nelle scuole dei villaggi, ma su di loro vi è uno stigma perché i loro genitori erano lebbrosi e tutti hanno paura di contaminarsi. Devo andare e aiutali, educarli e trattarli con dignità… Non posso abbandonare la mia missione”.

P. Edward è preoccupato per i cristiani di Kandhamal, per la loro situazione fisica e mentale, la loro solitudine, il vuoto, la disperazione. Teme per il futuro dei giovani, così impressionabili, divenuti testimoni di orribili violenze e enormi ingiustizie.

“Il pogrom è stata la personificazione del male. Ancora adesso la situazione è molto grave. Kandhamal è isolata, abbandonata; i nostri 50 mila cristiani sono stati resi degli sfollati. La nostra gente non può ritornare a casa, in molti villaggi è proibito loro praticare la fede. I cristiani non vogliono ritornare perché temono di essere di nuovo attaccati. Loro vedono che in questi 4 mesi non è stata presa alcuna decisione seria per prevenire gli attacchi, proteggere le loro proprietà e salvare le loro vite. Alcune donne sono state tagliate a pezzi con le falci, quando hanno tentato di andare a mietere i loro raccolti; oltretutto, i colpevoli girano liberi per i villaggi… Come può la nostra gente sentirsi al sicuro?”.

“Quando sono tornato in Orissa, sono andato a registrare la mia denuncia alla stazione della polizia. E loro mi hanno detto che io stavo solo dando ‘un racconto’ e non delle prove… Pensi cosa diranno alla nostra gente più semplice e meno istruita…”

“Vi è un gran numero di madri sole, tante donne sono state rese vedove e i figli orfani. I giovani sono senza alcuna direzione; questi bambini e ragazzi senza padri hanno bisogno di cure, nutrimento, attenzione. A Kandhamal vi è un enorme disastro umanitario ed è necessario un lavoro imponente”.

Nell’India, conosciuta per la sua profonda spiritualità, che ospita diverse religioni, vi è “purtroppo una piccola parte della popolazione che indottrina i poveri con false ideologie di odio verso i cristiani. Ciò che mi rattrista è che un gran numero della maggioranza indù è rimasta in silenzio davanti alla carneficina scatenata contro gli indifesi cristiani dell’Orissa. Gli stessi indù che sono stati promossi nelle nostre scuole, licei, istituti professionali, loro non hanno nemmeno alzato la voce per protestare”.

“Il problema è che in India la religione è usata come un mezzo per risultati politici. Per questo io sono preoccupato per le prossime elezioni nazionali e statali. Qui a Kandhamal e in Orissa tutto è polarizzato e diviso e temo per la sicurezza della nostra gente. Ormai il voto dei nostri cristiani non conta più: la maggior parte degli oltre 50 mila sfollati sono abbandonati; tutti i loro documenti di identità sono stati metodicamente e intenzionalmente bruciati,  distrutti. Essi non potranno nemmeno votare nelle prossime elezioni. In tal modo i politici avranno raggiunto il loro scopo”.

Di fronte a una situazione che sembra senza speranza, p. Edward non si dà per vinto: “A livello nazionale ci dovrebbe essere la volontà politica di migliorare la situazione; il governo federale dovrebbe intervenire fino a che la situazione non è tranquilla. A livello internazionale, io chiedo alla comunità mondiale che si parli di quanto è avvento a Kandhamal in tutte le assisi. Tutti parliamo di globalizzazione, di frontiere che si sono ridotte, ma la cosa essenziale della globalizzazione è la solidarietà e la fraternità universale. Altrimenti la globalizzazione ci porterà solo alla decadenza. L’attacco alle comunità cristiane dell’Orissa è stata una rivelazione demoniaca del male. Non è sufficiente alzare la voce, occorre anche agire, imporre sanzioni; si dovrebbe perfino chiedere l’intervento della Corte internazionale per prevenire altri incidenti come questo nel mondo. Ogni trasgressione alla dignità della persona umana o su una minoranza dovrebbe provocare il rifiuto nella nostra umanità e questo incidenti devono essere  affrontati in un Forum internazionale.

Solo se la comunità mondiale, i leader e i governi si preoccupano della vita e dell’umanità, il nostro futuro sarà assicurato, un futuro in cui la dignità della persona umana sia la prima preoccupazione”.

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