14/06/2007, 00.00
FILIPPINE
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L’esercito blocca una zona di Mindanao, la Chiesa prega per p. Bossi

Il superiore regionale nelle Filippine del Pontificio Istituto Missioni Estere racconta ad AsiaNews che l’intera comunità di Payao, da cui è stato rapito il missionario, prega per il suo ritorno a casa. Proseguono le ricerche, ancora nessun cenno da parte dei rapitori. Un richiamo a non strumentalizzare chi porta il Vangelo. Benedetto XVI assicura "il ricordo costante nella preghiera".
Zamboanga (AsiaNews) – Le autorità filippine “hanno bloccato interamente una zona dell’arcipelago di Mindanao: vi sono blocchi stradali e navali che non permetteranno ai rapitori di fuggire con p. Giancarlo Bossi”.
 
Lo dice ad AsiaNews il p. Gianni Sandalo, superiore regionale nelle Filippine del Pontificio Istituto Missioni Estere, che aggiunge: “I rapitori sono ancora anonimi: non si sono fatti vivi, né tanto meno hanno chiesto alcun riscatto. Aspettiamo, cerchiamo come Chiesa di mediare e preghiamo per la vita del nostro confratello. Abbiamo deciso che sarà l’amministratore della prelatura apostolica di Ipil, p. Nador Jasulga, a dirigere gli eventuali contatti con chi ha rapito p. Bossi”.
 
La decisione è stata presa durante un incontro avvenuto ieri ad Ipil fra il governo, l’esercito ed alcuni esponenti del Moro Islamic Liberation Front, cui hanno partecipato p. Jasulga e p. Sandalo. I due si recheranno insieme la settimana prossima a Payao, la parrocchia da cui è stato rapito il 10 giugno scorso p. Bossi, per cercare informazioni utili al ritrovamento del sacerdote.
 
Il p. Sandalo sottolinea come le accuse di malagestione della vicenda mosse dall’opinione pubblica al governo filippino sono infondate: “Fanno tutto il possibile per p. Giancarlo. Ho visto rientrare i soldati da una ricognizione sulle montagne durata un giorno intero: erano distrutti. Se non usano i mezzi adatti, non si deve pensare che non vogliano farlo: più semplicemente, non li hanno”.
 
Nel frattempo, la comunità di Payao “è animata ogni giorno da incontri di preghiera e momenti di unità fra cristiani e musulmani. E’ bello vedere che un sacerdote si è trasferito nel luogo dove hanno rapito p. Bossi e qui, insieme ad un gruppo di seminaristi, tiene viva ed in preghiera la sua comunità”.
 
Nel corso degli incontri, i fedeli chiedono perché sia stato rapito il loro parroco: “E’ commovente – dice p. Sandalo – sentirli mentre pregano per il rientro fra loro del ‘gigante buono’, come chiamano p. Bossi”. Allo stesso modo commovente è stato l’incontro fra il superiore ed un agente di polizia locale, molto amico del missionario rapito, che si è scusato per non averlo salvato: “Era addolorato, come se fosse stata colpa sua”.
 
Invece, prosegue p. Sandalo, “questi sono i rischi che ogni missionario corre mentre porta avanti la sua missione. Non si deve strumentalizzare chi porta il Vangelo: noi siamo fiduciosi nell’operato del governo filippino e di quello italiano, che ha attivato sin dalle prime ore un’unità di crisi della Farnesina per controllare gli sviluppi della situazione”.
 
L’intera Chiesa filippina segue il caso con apprensione: i superiori degli Istituti religiosi maschili e femminili hanno lanciato ieri una campagna di preghiera per la liberazione del missionario. La segretaria esecutiva del gruppo che riunisce gli Istituti, suor Estela Castalone, dice: “Preghiamo di continuo per la conversione del cuore dei rapitori”.
 
Il gruppo è fiducioso sulla liberazione di p. Bossi, e rigetta le critiche di “sconsideratezza” che sono mosse a chi opera in zone pericolose del Paese. I missionari, conclude la religiosa, “non possono semplicemente andare in quelle che vengono considerate aree sicure. Hanno un mandato missionario, e sono inviati a proclamare Cristo dovunque”.
Infine, durante l'udienza di ieri mattina in piazza S.Pietro, il p.Giuseppe Buono PIME ha avuto modo di parlare con il Papa e chiedere una particolare benedezione per P.Giancarlo. Il Santo Padre ha assicurato: "Non solo una benedizione, ma il ricordo costante nella preghiera".
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