Settant’anni fa, per decisione dei supremi organi del partito comunista guidati da Stalin, in URSS si scatenò l’ennesima sanguinosa “purga”, che durò quasi due anni. Nella storiografia questa campagna è spesso denominata “Grande Terrore”, ma la gente la chiama semplicemente “Il Trentasette”. Quell’anno è diventato il simbolo del sistema di uccisioni di massa organizzate ed eseguite dal potere centrale. Durante il biennio 1937-1938 furono arrestati più di 1,7 milioni di persone con imputazioni politiche. Se poi si contano le vittime delle deportazioni e gli “elementi socialmente dannosi” condannati, il numero dei repressi supera i 2 milioni. La crudeltà delle condanne fu incredibile: più di 700mila arrestati furono giustiziati.
In particolare, le repressioni toccarono profondamente i rappresentanti delle nuove élite sovietiche: politica, militare, economica. L’eliminazione di persone, i cui nomi erano noti a tutto il Paese e della cui lealtà non vi era motivo di dubitare, accresceva il panico e la psicosi di massa.
Tra le vittime del sanguinoso biennio, numerosi fedeli di ogni religione; per loro il luogo deputato all’esecuzione fu per lo più il poligono di tiro di Butovo, nella periferia della capitale russa. Il Patriarca di Mosca e di tutta la Rus’, Alessio II, ha definito Butovo, uno dei tanti “Golgota" russi. Qui sorge una chiesa dedicata ai “Nuovi martiri russi” e consacrata nel 1998. Accanto ad essa una serie di tavole con incisi i nomi delle vittime, appartenenti ad ogni religione. Tra i morti di Butovo soprattutto russo-ortodossi, tra cui il metropolita di Leningrado Serafim e Kronid, l’ultimo priore del Monastero della Trinità e di San Sergio - il monastero più importante dell’ortodossia russa. Ma negli elenchi figurano anche numerosi cattolici, come i sacerdoti Mikhail Tsakul’, Julian Tsimashkevich, losif Katajev, Iosif BelogoIovyj, Konstantin Budkevich e Sigizmund Krzhizhanovskij e la suora Marija Komarovskaja.