Pechino non paga scuole e insegnanti
La Cina da anni destina meno del 3% del Pil all’istruzione, rispetto allo standard internazionale del 6%. Per coprire le spese molte scuole chiedono alte rette, specie nelle povere zone rurali. Chi non può pagare, talvolta durante le vacanze è avviato al lavoro minorile.

Pechino (AsiaNews/Agenzie) – La Cina del “miracolo economico” investe poco nell’istruzione, specie nelle povere zone rurali. Questo favorisce lo sfruttamento del lavoro minorile da parte delle stesse scuole per pagare le rette. Le alte rette, poi, inducono molti studenti a lasciare gli studi e cercare lavoro come operai non qualificati.

Il premier Wen Jiabao il 9 settembre, in visita all’università Magistrale di Pechino, ha ammesso che in questo settore “nonostante i grandi progressi economici non c’è ancora stato un effettivo sviluppo” e che “occorre migliorare molto il sistema scolastico nelle zone rurali per consentire a ogni bambino di andare a scuola”.

La Cina nel 2006 ha speso per l’istruzione 71 miliardi di dollari, pari ad appena il 2,65% del prodotto interno lordo di 2,68 trilioni. Per il 2007 l’agenzia statale Xinhua ha annunciato in modo trionfale un aumento del 20% della spesa che giunge a 646,1 miliardi di yuan (85 miliardi di dollari), circa il 2,93% del Pil.

Già nel 2003 Katarina Tomasevski, inviato speciale delle Nazioni Unite, ha chiesto a Pechino di “aumentare la spesa [per l’istruzione] al minimo raccomandato in campo internazionale del 6% del Pil”. Intanto molte scuole, prive di adeguati fondi pubblici, chiedono alte rette agli studenti, si indebitano e riescono a coprire solo i costi per locali e materiale didattico. Stipendi e pensioni degli insegnanti di frequente non sono pagati.

Esperti osservano che così molte scuole, specie rurali, inviano gli studenti a programmi di “studio-lavoro” durante le vacanze: formula che può celare un vero sfruttamento dei minori, fatti lavorare per molte ore per misere paghe, spesso incassate dalle scuole per le rette. La legge cinese proibisce il lavoro dei minori di anni 16, ma non prevede questo “studio-lavoro”, che dovrebbe essere un periodo di insegnamento più che di lavoro ma che consente di aggirare ogni divieto. Al di là di abusi clamorosi (come la fabbrica di Dongguan che nel giugno 2007 ha “sequestrato” decine di studenti del Sichuan costretti a lavorare 14 ore al giorno senza riposo festivo, senza uscire né poter telefonare a casa; o i ragazzi anche di 12 anni reclutati ogni anno per raccogliere il cotone nello Xinjiang, con bassi salari e multati se non raggiungono quote prestabilite di raccolto), il fenomeno è talmente diffuso che il 3 luglio 2007 il ministro per l’Istruzione ha disposto che i programmi di “lavoro didattico” per “studenti universitari” prevedano non oltre 40 ore di lavoro settimanale per una paga oraria di almeno 8 yuan (meno di un dollaro). Il ministro non ha parlato di studenti di scuole medie e superiori. Analisti dicono che il governo deve dare una chiara e non equivoca definizione di ‘lavoro minorile’, che comprenda i programmi di lavoro estivo e studio-lavoro, per dare tutela legale agli studenti che vi partecipano. Ma per molte scuole rurali prive di aiuti pubblici, il lavoro estivo degli studenti è il solo modo per restare aperte un altro anno.