Continua la repressione, nuove forme di protesta a Yangon
Nonostante i moniti internazionali, non si fermano i raid notturni in monasteri e abitazioni private; e c’è chi tenta di scappare nella giungla. Nell’ex capitale i cittadini decidono di spegnere la tv e le luci di casa quando viene trasmesso il notiziario serale, con cui il regime spera di diffondere la sua “verità”. Ufficiale disertore parla di migliaia di vittime in tutto il Paese.
Yangon (AsiaNews) – Conclusa la visita dell’inviato speciale Onu in Myanmar, che ora si appresta a fare rapporto della sua missione al Consiglio di sicurezza, nell’ex Birmania continua la protesta e la repressione. Ma i cittadini non si arrendono e si organizzano in nuove forme di dissenso.
 
La giunta militare, che con pugno di ferro guida il Paese, sembra sorda ai numerosi appelli e moniti internazionali per la fine della violenza contro le manifestazioni pacifiche. Raid delle bande filogovernative in cerca di monaci e oppositori si sono verificati anche ieri notte a Yangon, l’ex capitale birmana presidiata dall’esercito e dove vige il coprifuoco. Secondo testimoni, almeno 8 camion carichi di prigionieri sono usciti dalla città, centro della protesta guidata dai religiosi buddisti contro la dittatura che da 40 anni soffoca la popolazione. I detenuti sarebbero ora ammassati in carceri provvisorie fuori città, fatte di tende. Testimonianze recenti, inoltre, raccontano di cittadini e religiosi in fuga verso la giungla per evitare gli arresti.
 
Con le strade sotto il controllo dei militari, internet e vie telefoniche fuori uso e la paura di uscire di casa, la popolazione ha escogitato nuove e più “silenziose” forme di protesta. Secondo quanto riportano le agenzie internazionali, sempre più numerosi abitanti di Yangon hanno deciso di spegnere il televisore durate le ore serali, quando l’emittente di Stato trasmette il notiziario ufficiale. Altri, nello stesso arco di tempo, tengono invece spente tutte le luci di casa. L’iniziativa, diffusa con il passa parola, intende mandare un chiaro messaggio al regime: “Rifiutiamo di ascoltare e credere a ciò che dice il governo”, spiegano alcuni degli aderenti. Ogni sera alle 8 la tv per un’ora trasmette la “verità” della giunta sulla situazione nel Paese: i notiziari definiscono le dimostrazioni di piazza come una campagna orchestrata dai governi occidentali e da dissidenti all’estero per destabilizzare il Myanmar; mostrano, inoltre, massicce manifestazioni a favore del governo, inscenate ad hoc per contrastare l’impatto di quello guidate dai monaci.
 
Intanto i parenti dei numerosi “scomparsi” in questi 45 giorni di manifestazioni chiedono di fare luce sulla sorte dei loro cari. Non si hanno stime esatte sul numero delle vittime. Secondo il governo i morti sono 10, ma gruppi in esilio parlano di 140 – 200 decessi in tutto il Paese. L’organizzazione Democratic Voice of Burma, con sede in Norvegia, stima in circa 6mila i manifestanti arrestati finora, di cui 1400 monaci da 7 monasteri ormai svuotati. Tra i detenuti centinaia di sostenitori del partito d’opposizione, “Lega nazionale per la democrazia”.
 
Ma la situazione potrebbe essere molto più grave. Hla Win, capo militare dell’intelligence nella regione di Yangon, è il primo ufficiale a disertare perché contrario alla repressione nei monasteri. Mentre è in cerca di un Paese dove riparare, ha dichiarato al quotidiano Daily Mail che “molte più persone di quante si è detto sono state uccise i questi giorni, il loro numero si aggira nell’ordine delle migliaia”.