Termina la missione “scortata” di Pinheiro nella crisi birmana
Dopo una visita al carcere Insein, l’inviato Onu per i diritti umani ha lasciato oggi il Myanmar. Alcuni monaci denunciano: Pinheiro ha visitato solo i luoghi voluti dalla giunta, non ha incontrato né Aung San Suu Kyi, né il leader delle proteste dei bonzi, U Gambira, che rischia la pena capitale. La Cina ribadisce il suo no ad ogni sanzione contro il regime.
Yangon (AsiaNews) – Prende tempo la giunta birmana: mentre “accompagna” l’inviato Onu Pinheiro sui presunti luoghi degli abusi di settembre e lo fa incontrare con numerosi funzionari di spicco e alcuni detenuti politici, incarcera attivisti e monaci, che ora rischiano la vita. Il bonzo U Gambira, leader delle proteste di fine settembre contro il governo e arrestato i primi del mese, ad esempio, rischia la sentenza capitale dopo le accuse di “tradimento”.
Nulla sembra cambiato ai vertici del regime, al termine oggi della visita di 5 giorni dell’inviato per i diritti umani delle Nazioni Unite Paulo Sergio Pinheiro, incaricato di verificare l’entità della repressione scatenata dai militari due mesi fa. Immutata anche la posizione della Cina, la grande alleata dei generali birmani, che ieri ha ribadito la sua opposizione ad ogni tipo di sanzioni contro Naypydaw.
 
La missione “scortata” di Pinheiro
Dopo colloqui con diversi ministri, oggi Pinheiro ha potuto incontrare alcuni detenuti politici nel carcere Insein a Yangon. Tra questi – ha riferito l’inviato – anche Su Su Nway, attivista nota per le sue denunce contro il lavoro forzato, arrestata il 13 novembre dopo un periodo di latitanza. Secondo fonti a lei vicine, la donna ha iniziato uno sciopero della fame. Il diplomatico brasiliano ha anche visto il giornalista 77enne Win Tin, in prigione dal 1989, e alcuni membri del gruppo studentesco “Generazione 88”, in prima linea in numerose proteste pacifiche degli ultimi anni.
Pinheiro non ha rivelato i contenuti dei suoi colloqui, ma riparte senza essere riuscito ad incontrare la leader dell’opposizione Aung San Suu Kyi, agli arresti domiciliari, e nemmeno il monaco U Gambira. Quest’ultimo - rivela oggi The Irrawaddy citando suoi familiari – è stato accusato di “tradimento” per il suo ruolo nelle manifestazioni contro il regime. Se giudicato colpevole rischia la pena capitale.
L’impressione generale è che anche questa terza missione Onu – dopo le due di Ibrahim Gambari nell’ultimo mese – non abbia incassato nessun risultato concreto. “La giunta – dicono da Mandalay alcuni monaci anonimi – ha portato Pinheiro sui luoghi che lei aveva già stabilito: la visita tanto pubblicizzata al monastero Kyakhat Wine di Bago, ‘razziato dai soldati’, ad esempio, è un falso. In realtà questo monastero era tra quelli schierati contro le marce guidate dai monaci”.
 
La giunta continua a giustificare il suo operato
Nessuno spiraglio nemmeno dal vertice dei ministri della Difesa dell’Asean (Associazione delle Nazioni dell'Asia Sud-Orientale), in cui il Myanamr ha riferito della crisi interna. In questa occasione, ieri, il vice ministro birmano della Difesa, Aye Myint, ha ribadito che gli arresti legati alle manifestazioni sono finiti e quelli condotti finora erano “solo per interrogatori”. Giorni fa il premier Thein Sein, in una conferenza stampa a Naypydaw, aveva chiesto in modo provocatorio ai partecipanti di mostrargli i cadaveri dei monaci uccisi nella repressione. Come a negare che fossero mai accaduti omicidi di religiosi buddisti per mano dei soldati.
La giunta può mantenere il suo duplice atteggiamento verso la comunità internazionale anche perchè conta sull’immutato appoggio della Cina. L’assistente al ministro degli Esteri, He Yafei, ha chiarito che Pechino non vuole un “altro Iraq”, ribadendo l’opposizione del suo Paese a sanzioni economiche come mezzo di pressione per accelerare il processo di riforme nella ex Birmania.