Forti le attese, caute le speranze per la conferenza di Annapolis
Alla vigilia numerosi incontri bilaterali. La presenza siriana e le divisioni interne ad Hamas evidenziano l’isolamento di Teheran, totalmente spalleggiata solo da Hezbollah. E’ l’atteggiamento israeliano a creare dubbi sul buon esito del meeting.
Beirut (AsiaNews) – Si moltiplicano gli incontri alla vigilia dell’apertura ufficiale della conferenza di pace di Annapolis, con il presidente Usa Gorge Bush ed il segretario di Stato Condoleezza Rice impegnati in incontri soprattutto con israeliani e palestinesi. L’attesa appare forte, ma le speranze lo sono meno. E’ andato a vuoto un tentativo del ministro degli esteri israeliano Tzipi Livni e del capo negoziatore palestinese Ahmad Qurei di arrivare ad una dichiarazione comune.
 
Alla vigilia dell’apertura dell’incontro, gli Usa possono valutare positivamente l’isolamento nel quale la conferenza ha posto l’Iran. La decisione della Siria di prendere parte al tavolo dei negoziati ha infatti lasciato Teheran sola, spalleggiata in pieno solo dagli Hezbollah libanesi, mentre perfino all’interno di Hamas affiorano posizioni diverse.
 
Se, infatti, ufficialmente Hamas ha oggi affermato che “le decisioni che verranno prese ad Annapolis non costituiranno un impegno per il popolo palestinese in quanto nessuno è autorizzato, che sia arabo o palestinese, a cancellarne i diritti”, come ha detto il portavoce Fawzi Barhoum, dall’altro appaiono critici di tale atteggiamento alcuni uomini dell’ex premier Ismayl Haniye, apparentemente più disponibili sulla necessità di aprire un confronto con Israele e migliorare i rapporti con gli Stati Uniti.
 
Oggi, Al Manar, la televisione di Hezbollah, ha dato grande spazio alle voci degli oppositori, a partire dalla Guida suprema iraniana, l’ayatollah Ali Khamenei, per il quale Annapolis non porterà niente ai palestinesi e serve solo a “dare sostegno” al regime israeliano. Parole che fanno eco a quelle del presidente Mahmoud Ahmadejad che ieri, come riporta l’agenzia ufficiale Irna, ha affermato che la partecipazione all’incontro è indice dell’ignoranza di certi politici che “non ricordano la storia”.
 
Sul fronte opposto, va messa in primo piano la Siria, maggiore alleato di Teheran. Il ministro degli esteri Walid al-Moallem, intervistato da Al Jazeera ha sostenuto che Annapolis può essere “una opportunità per a pace, se gli arabi si impegnano nell’iniziativa di pace araba e sostengono il popolo palestinese”. La sua dichiarazione è stata rilanciata dall’agenzia ufficiale Sana, secondo la quale “l’incontro può rappresentare un passo avanti se gli arabi si impegnano in un fronte comune che comprende l’iniziativa di pace araba, i riferimenti alla Conferenza di Madrid e al principio “terra in cambio di pace”. Che per Damasco significa tornare in possesso delle Alture del Golan.
 
Al Quds Al Arabi, quotidiano palestinese edito a Londra, afferma che sono state “pressioni saudite su Washington” a rendere possibile la partecipazione della Siria, mentre gli Stati arabi guardano con favore la conferenza, “nel timore di perdere le piazze a favore degli estremisti”.
 
Da parte israeliana, infine, Yedioth Ahronoth sottolinea i diversi atteggiamenti degli uomini del presidente palestinese Mahmoud Abbas. Con Nabil Shaath che esprime ottimismo e Nabil Abu Rdeneh che dubita di poter realizzare progressi, “finché Israele è diviso al suo interno”. Il riferimento è alle posizioni politiche del Paese, evidenziate dalle affermazioni del leader dell’opposizione, Benjamin Netanyahu (Likud), che ha parlato di “cecità politica” del governo che facesse troppe concessioni al summit. “Tutti – ha aggiunto – vogliamo la pace, ma noi vogliamo una vera pace e ciò chiede di insistere sulla sicurezza dei cittadini israeliani e sulla reciprocità”. (PD)