Il Medio Oriente e le sue donne: tra emancipazione e discriminazione
Il modo femminile nei Paesi arabi festeggia conquiste nell’educazione e nel lavoro, ma la strada verso l’uguaglianza tra i sessi è ancora lunga. Donne emancipate chiedono riconoscimento ai loro Paesi poco liberali che spesso le vivono come una minaccia allo status quo.

New York (AsiaNews/Agenzie) – Donne che studiano, gestiscono i soldi della famiglia e lavorano, ma che subiscono matrimoni combinati, discriminazioni politiche e soprusi in campo sessuale. E’ la condizione femminile nei Paesi arabi, tutt’altro che omogenea, e all’emancipazione e al progresso si alternano abusi e violazioni. 

Oggi a New York si conclude la 52esima sessione del ciclo di incontri organizzati dalla Commissione ONU sullo stato delle donne. In molti Stati le donne vengono violate nei loro diritti e il panorama offerto dal Medio Oriente è piuttosto variegato. 

Secondo Haifa Fahoum al-Kaylani, fondatrice del Forum internazionale per le donne arabe, il mondo femminile nei Paesi arabi ha conquistato significativi traguardi: dalle sponde tunisine fino all’Iran il numero delle laureate in medicina, farmacia e legge è cresciuto esponenzialmente. Si calcola infatti che circa il 70% dei laureati nel mondo arabo siano donne. È di pochi giorni fa la notizia che in Egitto la carica di Ufficiale di stato civile addetto alle cause matrimoniali è stata assegnata proprio alla 32enne Amal Selim. È la prima donna a ricoprire tale carica in Egitto, dove nell’ultimo anno 30 donne sono state nominate giudici.

È anche vero però che nelle sfere economiche e politiche la presenza delle donne è decisamente limitata e in alcuni Paesi la cultura patriarcale è causa di persistenti discriminazioni.

Negli Emirati Arabi le donne d’affari ambiscono a competere con le controparti maschili e, nella convinzione di poter apportare qualcosa di unico alla crescita economica del loro Paese, fanno pressioni sui governi per trasformare il sogno ambizioso in reale emancipazione.

Il Kuwait sembra essere uno dei Paesi con la più bassa rappresentanza di donne in parlamento e secondo Salwa Al Jassar, responsabile del Centro di emancipazione femminile, le donne in Kuwait pur essendo istruite e spesso molto ricche sono lontane dall’ottenere equità in politica, e né i poteri legislativi né gli esecutivi sembrano avere particolare interesse nel accelerare il processo.

Simile panorama nello Yemen, dove giovedì 1 marzo durante il Forum delle Sorelle arabe per i diritti umani, le partecipanti hanno invitato la società civile e i media a mobilitarsi per fare luce e pressione sull’ingiusta condizione di inferiorità a cui il  genere femminile è relegato.

In risposta all’appello lanciato dalla Commissione ONU riunita a New York per garantire una maggiore attenzione e una promozione delle donne, il Qatar ha promesso di aprire la strada all’uguaglianza tra i sessi a tutti i livelli.

In Arabia Saudita invece la risposta data alla Commissione ONU per l’eliminazione della discriminazione femminile dalle donne appartenenti ad una delegazione mista, sembra smentire la percezione che le donne del Regno saudita siano cittadine di seconda classe sottomesse ad una cultura ipocrita e patriarcale.  Secondo alcune saudite infatti le donne stanno emancipandosi: “Possiamo viaggiare da sole”, dice Lubna Al-Ansari, che afferma di avere ottenuto il permesso dal marito. Un membro maschile della stessa delegazione, commentando la legge vigente sulla poligamia, ha detto che essa in realtà riduce a quattro il numero di donne che un uomo può sposare. Secondo il delegato inoltre, un uomo sceglierebbe di sposare più donne sia per soddisfare un forte desiderio sessuale, che per fare un’ “azione umanitaria”, dato che le donne sposate ottengono una sicurezza economica.

Secondo la Commissione ONU, la folta delegazione saudita è un tentativo di mascherare l’effettiva discriminazione femminile che spesso si traduce in ingiuste punizione di donne abusate e innocenti.

Hillel Neuer, direttore esecutivo della Commissione ONU ha commentato: “Molte delle risposte fornite da delegate e delegati parlano da sé. Invece di mandare delegazioni per convincere l’ONU che la piaga della discriminazione femminile in Arabia Saudita non esiste, il governo di Riyadh dovrebbe fare di tutto per riformare le leggi discriminatorie che hanno reso possibile condannare alla frusta una donna vittima di violenze sessuali”.