Dalai Lama: non dimissioni, ma un passo indietro per la democrazia
Kesang Takla, ministro degli Esteri del governo tibetano in esilio in India, spiega ad AsiaNews che le parole del leader buddista sono state male interpretate. Il Dalai Lama potrebbe compiere un passo indietro e rinunciare al potere temporale, ma non a quello spirituale, in cambio di un processo democratico in Tibet.
Dharamsala (AsiaNews) – Il Dalai Lama “non intende dimettersi, ma è pronto a fare un passo indietro per la democrazia del Tibet”. Lo dice ad AsiaNews Kesang Takla, ministro degli Esteri del governo tibetano in esilio in India, che aggiunge: “I media occidentali hanno interpretato male le parole del nostro leader: quello che intendeva dire è che, se il problema è lui, è pronto a cedere il potere temporale in cambio di una reale democrazia nel Paese”.
 
Il lama Geshe Gedun Tharchin, fondatore e direttore spirituale dell'Istituto Lamrim di cultura tibetana, oltre che docente all'Istituto di Studi orientali e africani di Roma, spiega: “Il Dalai Lama non può dimettersi. Il suo ruolo di guida spirituale è insito nella sua persona, lui è nato e morirà così. Quello che intendeva dire è che potrebbe recedere dalla guida del governo in esilio, ma soltanto se la Cina acconsente ad avviare un reale processo democratico in Tibet”.
 
Il riferimento è al dialogo sino-tibetano, interrotto in maniera unilaterale da Pechino lo scorso anno. La Cina accusa il Dalai Lama di essere un pericoloso secessionista, ed ha dichiarato di “non voler avere più nulla a che fare con lui”. Il lama Geshe spiega che “in quest’ottica, il nostro leader potrebbe fare un passo indietro, ma niente di più. Inoltre, con quella frase voleva dire che lui non è un dittatore, e che la violenza dei tibetani lo ha molto colpito”.
 
Nel frattempo, non si fermano gli attacchi del regime cinese al leader tibetano. Zhang Qingli, segretario del Partito comunista tibetano, ha definito il Dalai Lama “un mostro, un lupo con la faccia umana ed il cuore di un animale”, ed ha sottolineato: “Siamo nel corso di un duro e sanguinoso scontro con la cricca del Dalai Lama, una battaglia per la vita o per la morte contro un feroce nemico”.
 
Nell’ambito di questa “feroce battaglia”, il governo locale ha ordinato l’arresto di centinaia di persone in tutto il Tibet. Secondo Pechino, 105 “rivoltosi” si sono consegnati “in maniera spontanea” alle autorità: inoltre, è stato nuovamente negato l’uso della forza contro i rivoltosi, che secondo la propaganda comunista “hanno ucciso innocenti civili”.