Referendum, con l’aiuto di Pechino la giunta si prepara alla repressione
A un mese dal contestato appuntamento alle urne per votare la nuova Costituzione il regime birmano adotta misure per contenere le proteste: la Cina invia camion anti-sommossa per la polizia, si addestrano volontari per picchiare attivisti; nelle carceri si promette libertà in cambio di un “sì” sulla scheda.
Yangon (AsiaNews) – Camion per la polizia anti-sommossa arrivano dalla Cina alla periferia di Yangon, dove si svolgono anche corsi per volontari su come “picchiare e disperdere” i manifestanti. Intanto nel famigerato carcere Insein i secondini fanno pressioni sui detenuti per votare “si” e aumentano le aggressioni contro gli attivisti democratici. Il Myanmar si prepara così al referendum sulla nuova Costituzione indetto dai generali della giunta per maggio prossimo, ma contro il quale è in atto una vasta campagna della dissidenza in patria e all’estero, che chiede di esprimersi per il “no”. Le varie misure adottate dalla giunta sembrano volte proprio a cercare di prevenire o eventualmente reprimere ogni eventuale forma di protesta civile in questo periodo di campagna elettorale.
 
Secondo quanto riportava ieri l’agenzia tedesca DPA, citando testimoni oculari, la Cina ha inviato 80 camion da trasporto alla polizia della periferia di Yangon. Fonti informate riferiscono dell’imminente arrivo di almeno altri 100 veicoli made in China per il trasporto di agenti e militari, che dovranno garantire la sicurezza durante la consultazione popolare. A un mese dall’appuntamento alle urne non è ancora nota la data precisa e la versione finale della Costituzione, che si sa per certo garantirà ai militari un forte potere di controllo sul governo.
 
Aumentano allo stesso tempo le aggressioni ai membri della Lega nazionale della democrazia, la formazione all’opposizione. Il quotidiano The Irrawaddy parla di squadre di teppisti assoldati dalla giunta. Tra gli esponenti colpiti di recente Myint Hlaing, 74 anni, che ha riportato un profondo taglio alla testa quando lo scorso 31 marzo sconosciuti lo hanno assalito vicino casa a Yangon. Sempre lo stesso giornale racconta di lezioni quotidiane a volontari di organizzazioni finanziate dallo Stato su come “disperdere e picchiare” la folla in caso di dimostrazioni e come “sgombrare il campo, dividendo i manifestanti morti dai vivi”.
Nelle prigioni intanto si cerca di “comprare” voti favorevoli al potere. L’agenzia birmana Democratic Voice of Burma denuncia che ad Insein, nella ex capitale, le autorità carcerarie promettono ai detenuti una riduzione della pena e la scarcerazione se voteranno a favore della nuova Costituzione.