Ultime speranze per i tre ostaggi indiani in Iraq
di Nirmala Carvalho
Una delle mogli si offre in cambio del marito. Appello del Primo Ministro indiano per il rilascio.

Mumbai (AsiaNews) – Mentre i terroristi irakeni prorogano la scadenza per iniziare le esecuzioni di tre ostaggi indiani, la moglie di uno dei prigionieri si appella ai rapitori offrendo la propria vita in cambio del rilascio del marito.

"È andato in Kuwait a mettere insieme un po' di soldi per i nostri quattro figli. Sono pentita di essermi lasciata convincere e ora darei la mia vita se questo lo riportasse a casa". Con queste parole Promila Devi, 32 anni, moglie di Tilak Raj, si è rivolta al gruppo terrorista "Bandiere Nere" che tiene in ostaggio il marito camionista e i suoi colleghi Sukhdev Singh e Antaryami.

Altro appello arriva dalle autorità di Stato indiane. In un messaggio trasmesso in arabo e inglese da diverse reti del Paese, il Ministro per gli affari esteri E. Ahamed, si è dichiarato convinto che "Allah guiderà il gruppo terrorista verso il rilascio degli ostaggi indiani, popolazione che da sempre ha dimostrato fiducia verso gli irakeni". Dopo aver ricordato i legami storici che legano i due Paesi, il Ministro ha affermato che "l'Iraq non ha mai pensato di danneggiare l'India" e che "non c'è nessuna valida giustificazione al rapimento". Per concludere Ahamed ha incoraggiato i rapitori a rispettare i valori dell'Islam "che insegna a essere giusti e leali verso gli innocenti".

Sabato, invece, il Ministro degli esteri, K Naatwar Siangh, ha assicurato il padre di Antaryami che il Governo farà il massimo per garantire il rientro in patria degli ostaggi e ha lanciato un appello attraverso il canale arabo Al Jazeera chiedendone la liberazione.

Tutto questo non sembra, però, essere sufficiente ai  familiari che continuano a premere sul Primo Ministro Singh e sul Presidente Kalam affinché aprano negoziati per il rilascio. I rapitori, che da poco hanno nominato un leader tribale come loro mediatore, hanno minacciato la Kuwait and Gulf Link Transport (KGL), società per la quale lavoravano i tre indiani, che decapiteranno un ostaggio ogni 72 ore se non farà lasciare l'Iraq ai suoi dipendenti. Venerdì scorso, inoltre, è stato richiesto un risarcimento economico per i familiari delle vittime di Fallujah e il rilascio di detenuti irakeni.

Secondo analisti, proprio questo particolare confermerebbe l'ipotesi che il rapimento sia dettato più dalla speranza di ottenere un riscatto che da motivazioni ideologiche. L'India, finora, non aveva subito nessun tipo di minaccia.

Il Governo, intanto, ha sospeso i permessi di emigrazione  per lavoratori diretti in Iraq e ha istituito un'unità di crisi per affrontare il problema degli ostaggi. Il gruppo ha già stabilito l'evacuazione di 5 mila indiani, su oltre 100 mila impiegati in Iraq. Difficile, però, tenere sotto controllo la situazione dei circa 3 milioni che lavorano sparsi in tutto Golfo.

Un rappresentante della Oman Agency, la ditta di Mumbai che aveva trovato lavoro agli ostaggi, si è dichiarato sorpreso del fatto che i tre siano stati mandati dalla KGL in una zona di guerra e spiega che "forse sono stati attratti dall'alto guadagno".

Spirito d'avventura ha portato Antaryami in Kuwait, ma per Singh e Raj è stata solo la povertà, secondo i familiari.

Insieme a loro, il gruppo "Bandiere nere" tiene in ostaggio tre kenioti e un diplomatico egiziano.

Da aprile il numero dei rapimenti in Iraq è in continuo aumento. Sono circa 60, finora, i rapiti, alcuni sono stati liberati, ma almeno 6 uccisi (di cui 4 decapitati).