Migranti cinesi carichi di debiti dopo aver lavorato al sogno delle Olimpiadi
La storia del migrante Zheng, orgoglioso di lavorare alle opere olimpiche, ma defraudato dei salari dalla ditta costruttrice. E di uno Stato piĆ¹ attento alla vetrina mondiale che alla giustizia di ogni giorno.

Pechino (AsiaNews/Agenzie) – Questa è la storia di Zheng, venuto a Pechino con grandi speranze e felice per le Olimpiadi, e che ha lavorato per indebitarsi. Ed è la storia attuale della Cina, questo grande Paese che usa le Olimpiadi per salire alla ribalta mondiale, ma dimentica la giustizia verso la sua gente.

Zheng è venuto a Pechino 5 anni fa, insieme all’esercito di migranti allettato dalla grande richiesta di mano d’opera per le opere olimpiche e orgoglioso per il suo Paese. A settembre è chiamato a completare con urgenza il terminal 3 del nuovo aeroporto di Pechino e su richiesta del datore di lavoro ha fatto venire 16 amici da casa per accelerare i lavori.

Ma – racconta al South China Morning Post - quando uno dei suoi uomini si è rotto una gamba per infortunio, la ditta costruttrice Beijing Jingyi Weiye Stainless Steel Decorations ha negato ogni responsabilità perché aveva subappaltato l’opera a un’altra ditta. Gli operai nemmeno lo sapevano e non avevano alcun contratto scritto. Il lavoratore ha fatto causa alla Jingyi Weiye e dopo qualche mese la ditta ha pagato 45mila yuan (circa 4.500 euro) di risarcimento. Ma poi ha detto che non c’erano più soldi per pagare agli altri i salari arretrati, per circa 30mila yuan, e di rivolgersi alla subappaltante, senza nemmeno indicare chi fosse.

Zheng non ha ricevuto i salari arretrati e deve anche pagare le 3 stanze affittate nella periferia meridionale di Pechino per farci dormire gli operai da lui reclutati. Vorrebbe far causa alla Jingyi Weiye, ma gli occorre una delega scritta da ciascuno degli operai e la maggior parte non sono tornati dopo le vacanze del Nuovo anno lunare, seppure pretendono da lui il denaro.

A febbraio è stato raggiunto nella Capitale dalla moglie e dalla figlia di un anno. Speravano di trovare un lavoro e potersi riunire. Ma, finite le opere olimpiche, a Pechino c’è meno lavoro e i controlli sui migranti sono molto rigorosi. La gran parte di loro è andata via, perché in altre province c’è più lavoro ed è meglio pagato. La moglie guadagnava 1.000 yuan al mese (100 euro circa) in una fabbrica di scarpe nell’Hunan, ma a Pechino trova solo lavori saltuari e mal pagati.

Anche Zheng vuole andare via e trovare lavoro altrove, ma non può farlo senza avere ottenuto il denaro per sé e la sua squadra: ha persino dato ai suoi uomini 10mila yuan dei suoi risparmi.

Mancano solo 3 mesi alle Olimpiadi, ma Zheng non ne è più entusiasta perché per lui i Giochi sono solo serviti a “caricarlo di debiti”. Da anni in Cina i migranti non sono pagati dai datori di lavoro, specie nel settore edile nel quale le imprese, finita l’opera, semplicemente spariscono. Dice che ha creduto che fosse diverso nella Capitale, per le opere olimpiche. Ma ora commenta che “se questo può succedere a Pechino, che speranze abbiamo in altre città?”.