Finito lo Stato di emergenza, la Mongolia si interroga sul futuro
Permane la tensione, anche se non ci sono stati nuovi disordini. Appello del premier alla legalità. Il nodo da sciogliere sarà come sfruttare le grandi ricchezze minerarie.

Ulaan Baatar (AsiaNews/Agenzie) – E’ tranquilla la situazione a Ulaan Baatar, dopo che il 5 luglio è finito lo stato d’emergenza decretato dal presidente Namabariin Enkhbayar per le violente proteste di piazza esplose dopo i primi risultati elettorali. Ma è  una calma tesa e il premier Sanjaagiin Bayar è comparso in televisione per ricordare che “i partiti vogliono risolvere i problemi in modo pacifico e secondo la legge”. Restano in carcere 200 dimostranti, mentre 500 sono stati rilasciati.

I risultati assegnano una larga vittoria al comunista Partito rivoluzionario del popolo mongolo (Prpm). Il Partito democratico (Pd) e altri gruppi minori chiedono un nuovo scrutinio dei voti, ma osservatori internazionali hanno definito le elezioni “corrette”.

Il nuovo governo dovrà decidere lo sfruttamento dei ricchi giacimenti del Paese, quali uranio, carbone, rame, oro e zinco. La popolazione appare esasperata soprattutto per le promesse dei partiti di un vicino benessere grazie alle ricchezze minerarie, che però non arriva, mentre crescono i prezzi e aumenta la disoccupazione. In campagna elettorale il Prpm ha promesso 1,5 milioni di tugrik (825 euro) per ogni cittadino quando inizierà lo sfruttamento minerario, mentre il Pd ne ha promesso un milione.

La legge attuale prevede che lo Stato debba avere il 34% delle azioni e mantenere il controllo del 51% quote delle imprese di sfruttamento minerario. Condizioni poco gradite alle imprese straniere, per i conseguenti vincoli concreti. Esperti ritengono, poi, che lo Stato avrebbe maggiori introiti limitandosi a tassare l’estrazione e l’esportazione di minerale, senza parteciparci, anche “perché – come dice D. Ganbold, presidente dell’Associazione nazionale mongola per le miniere - certe tasse debbono essere pagate anche quando la produzione diminuisce”.

Osservano anche che il controllo statale porterebbe a un conflitto interno di interessi, con il governo che rappresenta sia gli interessi generali che quelli della singola compagnia. Inoltre per l’estrazione occorrono grandi capitali iniziali che il Paese non ha.