Erdogan e l’Akp evitano il bando: vinta una battaglia, non la guerra
di NAT da Polis
Il partito al governo sfugge alla chiusura per un solo voto e se la cava con sanzioni finanziarie. La sentenza salomonica dice che l’Akp ha attentato alla laicità dello Stato, ma “non troppo”. La guerra con i kemalisti continua.

Istanbul (AsiaNews) – Dopo 3 giorni di raduno, la Corte Costituzionale ha deciso: con  6 voti favorevoli e  5 contrari, il partito della Giustizia e dello Sviluppo (Akp) al governo in Turchia, ha evitato il bando. Per la sua chiusura erano necessari 7 voti  su 11. Finisce così - per il momento - il braccio di ferro tra kemalisti e il partito di Recep Tayyip Erdogan, accusato di minare i fondamenti dello Stato laico turco. Il braccio di ferro era iniziato da tempo: dalle elezioni di anno fa,  alla travagliata  elezione di Abdullah Gul alla presidenza della repubblica, fino alla scorsa primavera quando l’Akp - con una riforma votata anche dal partito ultra nazionalista Mhp -  ha tolto il divieto per le donne di portare il velo nelle università statali.

La decisione della Corte è stata molto sofferta e molto rapida: un fatto che dimostra che su questa decisione pesano la tragedia dei vari  attentati passati e futuri e le pressioni  internazionali di Usa e Ue, tesi ad evitare l’instabilità politica  che inizia a presentarsi sull’orizzonte di questa vastissima area geografica.

Per salvare la faccia del vecchio establishment  si è trovata la classica soluzione di Salomone, quella della multa, mentre si è deciso di dimezzare il finanziamento pubblico all’Akp. Il giudice supremo aveva chiesta la chiusura del partito Akp e  l’allontanamento per 5 anni di Gul, Erdogan e 71 suoi membri dalla attività politica.

E invece la sentenza finale dice che l’Akp è divenuto “punto focale” per attività contro la laicità, ma “non troppo” e commina la sanzione finanziaria.

Tutto si conclude quindi con il pagamento di “pochi spiccioli”,  che gli imprenditori di Kaiseri  - nella Turchia centrale, grandi finanziatori  dell’Akp -  provvederanno a rimediare con gli interessi .

Subito dopo la sentenza Erdogan ha dichiarato  che essa “è una vittoria della democrazia”. Ma per il momento egli ha vinto una battaglia, non la guerra.

Lo stesso presidente della Corte,  Kilic, commentando la sentenza, ha dichiarato che essa “costituisce un avvertimento”. Il capo di Stato maggiore, generale Yasar Buyukanit non ha voluto fare alcun commento; ha solo detto che “nulla cambia sul ruolo dell’esercito negli affari turchi”.

Anche le dichiarazioni di Baikal, capo del Chp, il partito di opposizione di estrazione kemalista , sono in sintonia con quelle del presidente della Corte costituzionale.

Positive invece le reazioni dal tutto il mondo e in particolare da Cipro, dove il governo turco sta lavorando da tempo a una soluzione pacifica della divisione dell’isola.

A parte l’euforia del momento, ambienti diplomatici e giornalistici ammettono che il dopo-sentenza non si prospetta facile. Da una parte – essi dicono – occorre una vera  e sincera volontà  del governo ad accelerare le riforme che servono per una reale democratizzazione della società turca; ma occorre anche che il vecchio establishment – legato agli ambienti militari, sia capace di rinnovarsi nelle idee e nelle persone.