C’è chi non capisce il “pacifismo” del Vaticano
di David-Maria A. Jaeger, ofm
Si assalta la Santa Sede per le sue posizioni sul conflitto Israele-Hamas; si cerca di tirarla da una parte o dall’altra. Ma non si comprende la sua missione.

Roma (AsiaNews) - Non sarò stato il primo ad esprimere stupore di fronte all’esclusione diffusa della religione cristiana e della Chiesa Cattolica dalla categoria di religioni e sensibilità che meritano rispetto, e che non è lecito – almeno moralmente - attaccare e diffamare ad libitum senza rischiare di essere accusati di intolleranza o peggio. Questi giorni, in cui si sta consumando un’immane tragedia nella parte sud-occidentale della Terra Santa – e lo è indipendentemente da chi ne sia all’origine, da chi ne sia maggiormente responsabile - ne sono l’ennesima dimostrazione.  Basti riferirsi all’editoriale di un rispettatissimo intellettuale italiano, “Il pacifismo impossibile”, pubblicato dal Corriere della Sera in prima pagina dell’edizione di domenica, 11 gennaio. E altrove non è mancato all’assalto alla Santa Sede neanche un altro celebre giornalista-commentatore di area “vaticanista”. Per loro, come per diversi altri, la Santa Sede mancherebbe al dovere per il suo non-schierarsi, senza se e senza ma, al fianco del governo di Israele nel conflitto in corso. Per altri ovviamente le colpe della Chiesa sarebbero nella direzione opposta, nel non aderire con più forza e incisività – magari con sanzioni concrete - alle loro stesse condanne incondizionate della campagna militare,  al vedere la grande sofferenza della popolazione civile, e senza badare neppure minimamente al contesto e alle cause prossime delle misure belliche. Gli accorati appelli del Papa a nome dell’umanità perché cessi lo spargimento di sangue, perché tacciano le armi e perché si riprendano dialogo e ricerca di intesa, pace e riconciliazione, altro non sembrano ai primi che espressioni di un perdurante anti-israelismo fisiologico alla Chiesa, o agli altri come mancanza di fibra morale o dovute ad eccessiva prudenza fuori posto. Per tutti questi critici, la Santa Sede, quasi fosse una potenza temporale qualsiasi, non si dovrebbe sottrarre a netti giudizi politici su chi abbia sparato per primo, chi sia più cattivo dell’altro, chi debba essere punito e chi premiato e sostenuto.

Ora da israeliano (e sarebbe il caso del cittadino di qualsiasi altra Nazione) non mi dispiace mai che ci sia chi guardi alla mia Nazione con simpatia, che ci sia chi ne voglia capire le ragioni, che ci sia chi voglia comprendere anche le scelte più difficili e più discusse del suo governo. E da essere umano, innanzitutto e soprattutto, è chiaro che non mi possa dispiacere che ci sia chi prenda tanto a cuore le infinite sofferenze di una popolazione inerme già comunque eccezionalmente provata. Ma da cattolico, da sacerdote, mi offende che ci sia chi ne abusi per attaccare la Chiesa;  mi dispiace moltissimo che ci sia ancora chi si ostini nel rifiutare di riconoscere che la Chiesa in genere, e la Santa Sede in specie, non partecipano, e per natura loro non possono partecipare, al dibattito politico, non prendono parte nelle dispute temporali, e non lo possono né lo debbono fare, e che sia in fondo nell’interesse di tutti quanti che non lo facciano. Che la Santa Sede non è semplicemente ancora un’altra voce che si leva nel coro, troppo spesso cacofonico, delle Nazioni. La Chiesa parla su un piano del tutto diverso. Ha una missione del tutto diversa. La Chiesa non sostiene mai le ragioni di una Nazione contro l’altra e non funge, se non quando esplicitamente invitata da tutte le parti in causa, da arbitro. La Chiesa sostiene unicamente le ragioni dell’umanità  e si fa voce della misericordia, dell’umana e divina pietà, di quella giustizia che non  trova il suo compimento che nell’amore. Se ci siano delle circostanze in cui le Comunità politiche, agendo all’interno della peculiare logica dei rapporti di forza intra-mondani, giudichino di non poter evitare di ricorrere alla forza, non può mai essere la Chiesa a benedirne le armi. Lo comprese già a suo tempo Benedetto XV, ben prima che ne desse ulteriore prova Benedetto XVI. L’insistenza della Santa Sede nello scongiurare e deplorare sempre, ovunque e comunque il ricorso alla violenza, e nel proporre opportune importune le sole vie del dialogo pacifico, non può essere vista nel contesto delle discordie tra gli attori sulla scena internazionale, ma come pura espressione della propria missione, in rappresentanza di un “Regno che non è di questo mondo”. Voler leggere queste espressioni dello specifico della Chiesa quasi fossero dei semplici giudizi politici, riconducibili a calcoli diplomatici, oppure ostentazioni di una qualche “ideologia pacifista” (contrapposta ad altre dottrine politico-militari) vuol dire disconoscere chi e che cosa sia la Chiesa. E quando a farlo sono persone colte, fornite delle possibilità di saperlo e di capirlo, desta profonda meraviglia, anzi perplessità e tristezza.

Si fermino un attimo a pensare tutti questi critici, ed ammettano che se la Chiesa di Cristo abbandonasse questa sua alta missione e si abbassasse al livello di ancor un altro partecipante alla rissa, sia pur dalla parte da loro ritenuta nel giusto, il nostro mondo ne risulterebbe paurosamente e pericolosamente impoverito.

 

* francescano di Terra Santa