Vertice Asean: si discute di economia e si trascurano i diritti umani
di Weena Kowitwanij
Siglato un accordo di libero commercio tra Stati Asean con Australia e Nuova Zelanda. Ma non si vuole affrontare davvero l’emergenza dei Rohingya, costretti a fuggire dal Myanmar che li perseguita ma cui nessuno dà accoglienza.

Bangkok (AsiaNews) – Nel primo giorno del 14mo summit a Cha-am, provincia di Hua Hin (Thailandia), i 10 Paesi dell’Asean parlano di economia e di accordi commerciali, ma restano del tutto dimenticati i diritti  umani e la drammatica situazione dei Rohingya.

I Paesi Asean (Indonesia, Malaysia, Filippine, Thailandia, Singapore, Laos, Vietnam, Myanmar, Brunei e Cambogia), hanno stabilito una zona di libero commercio esente da dazi con Australia e Nuova Zelanda, che si stima possa far crescere l’economia dei 12 Stati di oltre 48 miliardi di dollari entro il 2020. Un accordo simile già esiste tra i Paesi Asean, come pure tra loro e Giappone, Cina e Corea del Sud.

L’obiettivo è l’istituzione entro il 2015 di un mercato unico nell’Asean, simile a quello dell’Unione europea, per competere con Cina e India.

Ma l’emergenza per la crisi finanziaria globale, che ha colpito anche economie sviluppate come Singapore, ha fatto dimenticare i diritti umani. Dal summit, riunito in una nota località balneare a sud di Bangkok, è attesa una decisione concreta sul dramma dei Rohingya, la popolazione che fugge dal Myanmar dove è perseguitata e si rifugia in Thailandia, Malaysia e Indonesia. A dicembre l’esercito tailandese ha respinto centinaia di loro dalle coste e li ha portati su barconi senza motore a morire in mare aperto. In questo periodo di crisi, nessun Paese offre loro accoglienza.

Oggi il Myanmar ha detto che accetta il ritorno dei profughi, ma solo se si riconoscono come bengalesi che abitano in Myanmar, invece che cittadini birmani. Il governo rifiuta di riconoscere che esista una etnia minoritaria Rohingya, sebbene ci abiti da oltre mille anni. Ma i profughi non vogliono certo tornare dove sono perseguitati, resi apolidi senza diritto di sposarsi, avere residenza e lavoro.

Mamut Hudsen, profugo Rohingya cinquantenne, spiega ad AsiaNews che lui, moglie e 4 figli, nel Myanmar settentrionale vicino al Bangladesh, lavorano “nei campi di riso, senza avere nemmeno abbastanza da mangiare ogni giorno. Siamo senza speranza”.

Il giovane Hamit Dusun ricorda che “non abbiamo diritti [in Myanmar], né accesso all’istruzione o alle cure mediche. Sono nato ad Aragan con origini bengalesi, ma la mia Patria mi nega la cittadinanza”.

La loro fuga disperata è un buon affare per molti. Pakorn Pungnetre racconta che i mediatori tailandesi chiedono circa 250 dollari a persona per un viaggio (nave, cibo, acqua, farmaci e carburante) dal Bangladesh (dove fuggono via terra) in Thailandia o Malaysia, su barconi che impiegano almeno 15 giorni per coprire gli oltre 1.000 chilometri.

Esperti osservano che in materia di diritti i Paesi Asean hanno sempre praticato una non ingerenza negli affari interni altrui e cercato soluzioni concordi.

Surin Pitsuwan, segretario generale dell’Asean, ha confermato lo stallo sul problema, dicendo che questi giorni ci sarà solo “l’inizio di una seria ricerca di una soluzione”.