La polizia picchia a morte un monaco tibetano, poi finge il suicidio
Il monaco distribuiva volantini contro la persecuzione cinese e in memoria dei morti per le proteste del 2008. Dopo la morte, la polizia avrebbe gettato il corpo in un burrone. Continuano gli arresti arbitrari e i pestaggi. Ma le autorità parlano di una regione prospera dove i tibetani vivono felici e protetti.

Dharamsala (AsiaNews/Agenzie) – Nel Tibet occupato, la polizia cinese picchia a morte un monaco e continua ad arrestare molti tibetani per stroncare ogni minima protesta.

Fonti locali hanno raccontato al Tibetan Centre for Human Rights and Democracy che il 25 marzo Phuntsok Rabten, 27 anni (nella foto), del monastero nella contea di Drango a Kardze (in cinese: Ganzi) ha distribuito volantini invitando i contadini a non coltivare la terra per protesta contro la persecuzione cinese e a pregare per i tibetani uccisi nelle proteste del 2008. All’arrivo della polizia è fuggito, ma lo hanno preso e picchiato fino ad ucciderlo sul posto. Poi hanno gettato il corpo in un burrone, per nasconderlo. Ma i monaci hanno recuperato il corpo e lo hanno portato alla polizia per fare una denuncia, che la polizia non ha voluto ricevere. Le autorità parlano di suicidio o di caduta accidentale con un motociclo.

Sempre il 25 marzo la polizia ha arrestato due monaci del monastero Minyak, nel Drango, che hanno inviato i contadini a non coltivare la terra. Due giorni dopo la polizia ha arrestato circa 20 contadini che protestavano e ne ha picchiati con forza almeno 11 che sono dovuti andare in ospedale.

Intanto ieri il China Tibetology Research Centre, collegato col governo, ha pubblicato un ampio rapporto sui grandi progressi economici ottenuti in Tibet in 50 anni di dominazione cinese. Lo scritto rigetta le accuse internazionali di genocidio culturale contro la popolazione tibetana e afferma che i tibetani sono ancora “la schiacciante maggioranza nella regione” e che nella zona il tibetano è insegnato nelle scuole. Il rapporto non parla di arresti e detenzioni.

Ma il governo tibetano in esilio accusa il rapporto di mistificazione. Osserva che le principali città sono dominate dai migranti di etnia Han e che la gran parte degli Han non compaiono nelle statistiche ufficiali perché non hanno permesso di residenza.