La Chiesa dello Sri Lanka: ora uguaglianza e unità perché la guerra finisca davvero
di Melani Manel Perera
Per mons. Savundaranayagam, vescovo di Jaffna, i festeggiamenti non possono dimenticare i profughi che “hanno perso tutto e hanno bisogno di tutto”. Mons. Gomis, vescovo di Colombo, ringrazia il governo per aver messo fine al conflitto. Ma chiede “umiltà e saggezza per imparare dagli errori commessi nel passato”.“Dobbiamo riconoscere che siamo una comunità multi-etnica, multi-religiosa e multi-culturale”.
Colombo (AsiaNews) - “Non ci può essere una gioia piena perché queste persone hanno perso tutto, la terra, il lavoro, la casa”. Mons. Thomas Savundaranayagam, vescovo di Jaffna nel nord dello Sri Lanka, non riesce a condividere l’entusiasmo della popolazione che festeggia in molte parti del sud dell’isola.
 
L’esercito ha sbaragliato le Tigri tamil, ma la situazione drammatica delle migliaia di profughi che vivono nei centri di accoglienza non permette al vescovo di gioire. “Ora ci sono 3mila sfollati nei campi allestiti qui. Hanno perso tutto e hanno bisogno di tutto”, afferma mons. Savundaranayagam. “Ora la speranza di questa gente e che il governo assicuri loro un futuro migliore e chiedono di poter tornare quanto prima nelle loro case, libertà e una vita degna”.
 
Anche mons. Oswald Gomis, arcivescovo di Colombo, condivide le preoccupazioni del presule di Jaffna: “Abbiamo vinto una battaglia, ma la guerra non è finita. Sarà davvero finita solo il giorno in cui matureremo un comune sentimento nazionale riconoscendo che tutti siamo un popolo in una nazione con uguali diritti”.
 
Mons. Gomis ringrazia il governo e l’esercito per aver messo fine alla guerra, ma guardando al futuro afferma: “Dobbiamo riconoscere che siamo una comunità multi-etnica, multi-religiosa e multi-culturale. In quanto tali dobbiamo ora mettere mano alla grande sfida di costruire un Paese dimenticando le nostre differenze etniche, politiche e religiose”.
 
L’arcivescovo di Colombo parla di “umiltà e saggezza per imparare dagli errori commessi nel passato” e chiede a tutti di “condividere le colpe e perdonarsi a vicenda”. Alla popolazione dell’isola e alla classe politica ripete: “Uniti rifioriremo, divisi periremo” e chiede l’impegno a trovare “la formula politica che possa ispirare confidenza e promuovere un senso di comune appartenenza che coinvolga le minoranze del Paese”.