Orissa: si costituisce una coppia di maoisti, implicati nell’omicidio dello Swami
di Nirmala Carvalho
Marito e moglie si sono consegnati agli agenti del distretto di Rayagada. Essi hanno ammesso il “coinvolgimento” nell’assassinio del leader fondamentalista indù, che ha scatenato il pogrom anticristiano in Orissa. Presidente di Gcic denuncia: “nella regione continua il regno del terrore”.
Bhubaneshwar (AsiaNews) – A undici mesi di distanza dall’assassinio dello Swami Laxamananda Swaraswati – il 23 agosto 2008 – e dell’inizio del pogrom anti-cristiano in Orissa, un’altra coppia di giovani maoisti si è costituita alla polizia. Si tratta di Surendra Brekedda, 20 anni, e di sua moglie Jaya Ruppy, di anni 19; ieri i due ragazzi, entrambi membri del Partito comunista-maoista (CPI-Maoist), bandito nel Paese, si sono consegnati agli agenti del distretto meridionale di Rayagada.
 
Ashish Kumar Singh, soprintendente della polizia, conferma la confessione del ragazzo, il quale ha ammesso “di essere coinvolto nell’omicidio dello Swami Laxamananda”; egli auspica che questo gesto serva da esempio ad altre persone. Il 9 giugno scorso un’altra coppia di maoisti – Ghasiram Majhi alias Akash e la moglie – si era consegnata agli agenti di Rayagada. Akash è il numero due dell’organizzazione maoista in Orissa, dopo il leader Sabyasachi Panda. Il 21 aprile scorso la polizia ha arrestato il 40enne comandante della divisione di Bansadhra – P Rama Rao, alias Uday – il quale ha ammesso, durante l’interrogatorio, di essere implicato nella morte dello Swami.
 
Per quell’assassinio, i fondamentalisti indù hanno puntato il dito contro la comunità cristiana, perpetrando omicidi, stupri, violenze di ogni tipo. I maoisti avevano intimato allo Swami di fermare la “campagna di scontri sociali” e di “tensione”, alimentata nel distretto; egli è stato ucciso perché “non ha voluto seguire l’avvertimento”. Il fatto è stato confermato dallo stesso leader dei maoisti, Sabyasachi Panda, che fin dall’ottobre 2008 ha ammesso le “responsabilità del movimento” nella morte dell’estremista indù.
 
Sajan K George, presidente di Global council of Indian Christians (Gcic), spiega ad AsiaNews che “il regno del terrore, dopo 11 mesi, continua nella regione, con i protagonisti delle violenze che lanciano ancora oggi minacce di morte ai testimoni”. “La realtà a Kandhamal – prosegue l’attivista cristiano – rivela il tentativo di un segmento della società di promuovere divisioni politiche, a discapito dell’armonia e della convivenza pacifica in Orissa”.
 
Il presidente di Gcic, insieme ad altre organizzazioni a tutela dei diritti umani, invita i leader fondamentalisti indù a smetterla di lanciare “false accuse” sul coinvolgimento dei cristiani nella morte dello Swami. “I cristiani sono una minoranza microscopica – prosegue – e credono nella pace e nello sviluppo di un sistema per il bene di tutta la comunità. Di oltre 750 fascicoli di indagine aperti da diversi distretti di polizia a Kandhamal e Gajapati, solo uno si è concluso con la condanna e gli estremisti minacciano di uccidere i testimoni”. Per questo il Gcic lancia un appello a tutte le componenti della società perché diano “una possibilità alla pace” e trasformino “l’Orissa in uno Stato prospero, dove nessuno soffre la fame”.
 
Dall’agosto 2008 sino a febbraio, le violenze contro i cristiani in Orissa hanno distrutto 315 villaggi, 4640 case, 252 chiese e 13 scuole. Le persone rimaste uccise sono 120, ma alcune cifre governative parlano di 500 morti, tra essi 10 religiosi.