Violenze contro i cattolici: il velo contro crisi e corruzione del Partito comunista vietnamita
di J.B. An Dang
La persecuzione contro i fedeli di Vinh è un diversivo per nascondere le profonde divisioni interne, ma anche la misura dell’abisso di disprezzo a cui è giunto il Partito, deciso ad approfittare dei nuovi venti economici e capace anche di svendere il Paese al suo nemico tradizionale, la Cina. La Chiesa e la sua funzione di risveglio delle coscienze, e i Montagnard convertiti sono condannati a sparire.

Hanoi (AsiaNews) - Lo scorso 20 luglio la polizia della provincia di Quang Binh ha lanciato un attacco a sorpresa contro un gruppo di indifesi parrocchiani di Tam Toa, una battagliera parrocchia della diocesi di Vinh nel Vietnam centrale. I cattolici stavano edificando una tenda da usare come temporanea cappella per i loro servizi liturgici. L’assalto ha prodotto centinaia di feriti; decine di persone sono state arrestate, portate via con camionette e detenute.

Una settimana dopo la diocesi di Vinh ha reso noto che due preti cattolici sono stati picchiati in modo brutale da poliziotti in borghese e da teppisti al soldo del governo. P. Paul Nguyen è stato picchiato perché intervenuto a salvare tre donne dalle violenze dei teppisti. Mentre gli energumeni lo picchiavano, rompendogli costole e ferendolo alla testa, 30 poliziotti in uniforme guardavano immobili la scena.

L’altro prete, p. Peter Nguyen The Binh, è stato picchiato da un gruppo armato e gettato giù dal secondo piano dell’ospedale, dove lui era andato per visitare p. Paul Nguyen.

Poliziotti in borghese e teppisti pagati dal governo hanno anche attaccato molte persone nelle strade della città di Dong Hoi solo perché indossavano simboli cristiani. In particolare, Nguyen Thi Yen, una madre, e il suo bambino di 9 anni sono stati picchiati con calci e pugni senza pietà. Alcune famiglie cattoliche sono fuggite alla città per cercare sicurezza.

In un altro caso, il 27 luglio, Peter Mai Van Truong, 48 anni (v. foto) e sua moglie Ky Anh, di Dong Yen, sono stati picchiati quasi a morte mentre erano in strada per andare a Tam Toa a trovare la loro famiglia. Truong e sua moglie sono caduti in un’imboscata dei teppisti. Avendoli riconosciuti come cattolici, li hanno picchiati e derubati della moto, della patente, dei soldi e di una macchina fotografica. Anche qui, il tutto è avvenuto in pieno giorno, sotto lo sguardo indifferente della polizia in uniforme.

La situazione così violenta a Dong Hoi porta molti osservatori a concludere che la Chiesa cattolica in Vietnam è stata forse scelta come capro espiatorio da sacrificare nella lotta di potere fra le diverse fazioni del partito comunista. Inoltre vi è l’evidenza che il governo vietnamita sta usando gli stessi mezzi usati dalla Cina durante la Rivoluzione culturale per soffocare le crescenti critiche contro di esso.

Diversi e confusi sviluppi nella politica vietnamita aiutano a comprendere il perché del violento trattamento contro i cattolici.

Corruzione rampante

Nell’era dei mercati aperti, i rappresentanti del governo hanno enormi possibilità di arricchirsi in una notte mediante accordi poco chiari e ciò dà adito a enormi pericoli di corruzione. I ricchi - della stessa classe socio-economica del Partito - vengono a formare un’alleanza che fa di tutto per comprare i cuori e le anime dei rappresentanti del governo, i quali pensano che lo spessore del loro portafogli è più importante del bene comune e perfino della sicurezza della nazione.

Un esempio è lo scandalo della PMU18, iniziato con delle scommesse sportive! Il fatto è che le scommesse sono state piazzate dal presidente del PMU18, un’agenzia governativa che maneggia 2 miliardi di dollari Usa per progetti di sviluppo e costruzioni finanziati da donatori stranieri[1].

Almeno 7 milioni di dollari sono stati piazzati in scommesse, distogliendoli dal fondo del PMU18. Lo scandalo è stato così chiacchierato che perfino i leader del Partito comunista sono dovuti intervenire (e fermarlo) dicendo che esso “minaccia la sopravvivenza del nostro sistema”.

Il volume delle somme in gioco ha fatto aprire gli occhi sull’audacia della corruzione che pervade il Vietnam. In una sola scommessa, secondo la stampa locale, sono stati perduti 320 mila dollari, puntati sul risultato di un match fra il Manchester e l’Arsenal nel gennaio 2008.

La scoperta delle scommesse ha permesso agli investigatori di far venire alla luce una lunga catena di palazzi, amanti, macchine di lusso, bustarelle che lo scorso aprile hanno portato alle dimissioni  del ministro dei trasporti, Dao Dinh Binh e all’arresto del suo vice, Nguyen Viet Trien. Altri tre uomini implicati nello scandalo, che erano sulla lista per essere nominati membri del Comitato centrale del partito comunista, sono stati costretti a ritirarsi alla fine di aprile.

Purtroppo la semiseria inchiesta è andata avanti solo fino ad un certo punto, poi è stata fermata. Tutte le parti implicate sono state giudicate non colpevoli. Al contrario, i due giornalisti che hanno gridato per primi allo scandalo sono stati imprigionati. E ancora peggio, il testimone principale, Pham Tien Dung è stato trovato morto nella sua cella in misteriose circostanze.

Via via che la piaga della corruzione si diffonde, crescono pure le aspre critiche contro il Politburo, perfino dall’interno del Partito. Il disastro della corruzione sembra avvolgere l’intera nazione e non solo.

La bauxite venduta alla Cina

Tempo fa è emersa la notizia che il Vietnam avrebbe dato inizio allo sfruttamento di miniere di bauxite nella zona centrale del Paese. Allo stesos tempo si è diffusa la voce che il Politburo abbia venduto lo sfruttamento dei giacimenti alla Cina, con un accordo segreto, senza nemmeno il permesso del Congresso.

Critiche ai piani sulla bauxite sono giunte da tutte le parti. Gli oppositori sottolineano che i danni ambientali e sociali delle miniere sarebbero maggiori di ogni beneficio economico; altri hanno messo in guardia sui rischi che la sicurezza del Paese corre, per la presenza a lungo termine di centinaia di migliaia di cinesi nelle miniere di bauxite.

Al coro delle critiche si è aggiunto anche un cardinale vietnamita che nella sua Lettera pastorale del 31 maggio, con parole molto forti, ha condannato lo sfruttamento delle risorse naturali che danneggiano l’ambiente e ha spinto i cattolici a protestare contro i nuovi piani economici, pregando anche per il governo, perché esso mostri la sua cura per la gente, il paese e le future generazioni.

Il card. Pham Minh Man, arcivescovo di Ho Chi Minh City (Saigon) ha affermato che è un suo dovere pastorale informare e rendere più coscienti i suoi fedeli sui rischi di danni ambientali dopo aver ricevuto rapporti sul tema. La Lettera del cardinale è stata pubblicata pochi giorni dopo la decisione del Congresso vietnamita di dare il via allo sfruttamento dei giacimenti di bauxite negli altipiani centrali, nonostante le diffuse proteste.

Il dibattito è giunto fino all’Assemblea nazionale del Vietnam, dopo il grido allo scandalo da parte di scienziati, intellettuali e da diversi settori della compagine governativa – compreso il gen. Vo Nguyen Giap, il leggendario eroe comunista del periodo della guerra – tutti contrari al progetto benedetto dal Politburo di sfruttamento delle miniere di bauxite.

Sebbene le critiche al progetto della bauxite siano venute da molte direzioni, i media statali sembrano aver scelto di punire solo i cattolici. Il mese scorso, p. Peter Nguyen Van Khai, portavoce della comunità redentorista, e un altro suo confratello, p. Joseph Le Quang Uy hanno deciso di lanciare un’inchiesta pubblica, una specie di referendum, per raccogliere in tutto il Vietnam le firme di coloro che sono contrari al piano della bauxite, domandano al governo di ripensarci. La stampa ha cercato di distruggerli in ogni modo: sono stati accusati di essere “stupidi”, “ignoranti”, una minaccia per l’unità nazionale e lo sviluppo, accusati di complottare per rovesciare il regime comunista.

Nel tentativo di difendere i due sacerdoti cattolici, il Card. Pham Minh Man ha invece dichiarato che le critiche aperte al progetto della bauxite sono un “segno sano” per una società democratica e ha spinto i fedeli a levare la voce in protesta, “mediante i legittimi rappresentanti e media” perché “proteggere l’ambiente è un nostro dovere cristiano”.

La svendita dei confini a Pechino

Il card. Pham Minh Man è rimasto implicato in un altro “scontro” con il governo vietnamita sul tema molto sensibile dei confini fra Vietnam e Cina. Lo scorso 24 luglio, l’episcopio di Ho Chi Minh City e l’editore Tri Thuch avevano deciso di tenere una conferenza sui confini Vietnam – Cina, in mezzo a tante voci secondo cui il Partito comunista è sotto la pressione di Pechino per cederle più spazio sui confini di terra e di mare.

La conferenza doveva avere luogo nel salone della casa del vescovo. Ma all’ultimo minuti, sotto pesanti pressioni del governo, hanno dovuto trasferire l’incontro in un piccolo centro pastorale a 2 km. In più, alcuni dei relatori più importanti, fra cui lo stesso cardinale, si sono ritirati. Essi non hanno potuto attendere la conferenza “per alcuni appuntamenti più importanti”.

Il problema dei confini è un nervo scoperto nella storia fra Vietnam e Cina.  Nel novembre 2007, la Cina ha formalmente celebrato l’annessione unilaterale delle isole Paracels e Spatlys[2], incorporandole in una unità amministrativa (Tam Sa) compresa nella provincia di Hainan. Quando si è diffusa la notizia, gli studenti vietnamiti hanno organizzato impressionanti proteste davanti agli uffici diplomatici della Cina a Hanoi e Ho Chi Minh City. Le proteste sono durate solo 2 settimane perché la polizia le ha svigorite arrestando diversi organizzatori.

Le proteste patriottiche degli studenti hanno messo in crisi la legittimità del governo comunista vietnamita, che si è sempre circondato dell’alone di difensore della patria contro gli stranieri. Già cinquanta anni fa la Cina ha dichiarato l’intero Mare Cinese Meridionale come suo confini interni. Dopo pochi giorni, il 14 settembre 1958, il primo ministro nord-vietnamita Pham Van Dong, ha inviato una nota diplomatica al suo omologo Zhou Enlai, riconoscendo questa pretesa. La motivazione era ovvia: i comunisti di Hanoi avevano bisogno del sostegno militare della Cina nella loro guerra contro il Sud sostenuto dagli Stati Uniti.

Verso la fine della guerra del Vietnam, avvantaggiata dalla debolezza del Vietnam del Sud, la Cina ha attaccato le isole Paracels. Nella battaglia navale del 19 gennaio 1974, e nei seguenti attacchi cinesi, 53 marinai sudvietnamiti hanno perso la vita per difendere le isole. Al tempo, il governo di Saigon ha protestato contro l’invasione, mentre quello di Hanoi ha sostenuto la mossa della Cina.

Dopo la presa del Sud da parte del Nord Vietnam nel 1975, il governo vietnamita ha fatto ancora più concessioni alla Cina. Nel 2000, ad esempio, il Vietnam ha perso 700 kmq di terra, dandoli alla Cina. D’altra parte il governo di Hanoi ha bisogno del sostegno politico della Cina, e copia in modo pedissequo il modello di Pechino per quanto riguarda le aperture economiche e le chiusure politiche. La conclusione è che Hanoi è riluttante nel criticare Pechino: ha timore che criticare la Cina sia in qualche modo una condanna per sé. Di recente, le pretese della Cina di sovranità sull’intero Mare cinese meridionale hanno provocato la reazione sia in Vietnam, sia nella diaspora all’estero, puntando il dito contro il silenzio di Hanoi e le sue disgraziate concessioni di terra e mare a Pechino.

Terre espropriate

Ad Hanoi e a Ho Chi Minh City (Saigon) centinaia di contadini protestano ogni giorno per l’esproprio violento delle loro terre.

In una lettera al presidente e al primo ministro vietnamiti, mons. Michael Hoang Duc Oanh, vescovo di Kontum, ha scritto: “In questo Paese, numerosi contadini e poveri hanno supplicato per anni per il ritorno delle loro proprietà, ma invano, dato che le autorità hanno preferito perseguitarli piuttosto che prendersi cura di loro!”.

In Vietnam i conflitti a causa della terra aumentano ogni giorno in modo impressionante. Con la corruzione dilagante, le autorità locali divengono sempre più sprezzanti alla ricerca di guadagni personali e illegittimi. Essi inventano progetti fasulli per avere motivi di confiscare o comprare a basso costo terreni agricoli dai contadini. Cacciati i contadini dalle terre, essi poi rivendono quei terreni a prezzi più alti per costruire hotel, ristoranti, night clubs come risorse finanziarie personali di rappresentanti governativi.

Essi hanno preso di mora anche le proprietà della Chiesa, sequestrate per anni, come nel caso di Thai Ha, la nunziatura di Hanoi, e molti conventi del sud Vietnam. Alla loro avidità non sfuggono nemmeno quelle proprietà che sono tuttora in mano alla Chiesa. Le dispute coi cattolici sui terreni della Chiesa hanno prodotto massicce proteste ad Hanoi, Thai Ha, Ha Dong, Vinh Long, Hue, An Giang. Il governo rischia proteste simili anche da altre religioni e sette. In questo contesto sociale, il governo preferisce diffondere un clima di paura e sospetto sulla società, ricorrendo alla violenza brutale.

Nei mesi scorsi, almeno 30 dissidenti sono stati arrestati. Fra questi vi è Le Cong Dinh, un importante avvocato vietnamita che si è messo a disposizione per difendere casi di diritti umani violati in Vietnam. Egli ha criticato i progetti di sfruttamento minerario della bauxite nel Vietnam centrale ed è stato arrestato dal governo lo scorso 13 giugno 2009, accusato di “propaganda contro il governo” e attentato contro la sicurezza della nazione. Il suo arresto ha suscitato molte critiche della comunità internazionale verso Hanoi.

La violenta persecuzione a Dong Hoi è un altro piano per colpire i dissidenti e tutti coloro i cui interessi non coincidono con quelli del Partito.

Un fatto divenuto quasi una norma nella società vietnamita è l’esistenza di gruppi di uomini “parastatali” che sono presenti ovunque vi sia uno scontro fra il governo e i cittadini. Questo “esercito” composto da malviventi agisce come una banda di delinquenti e sempre in modo violento. I media statali non hanno mai negato l’esistenza di queste bande. Anzi, essi sembrano addirittura contendi delle loro gesta, raccontate con dovizia di particolari. Il loro lavoro non è solo terrorizzare i cattolici, ma tutti i gruppi della società civile vietnamita. In questo modo, il Partito al governo sembra lanciare all’intera nazione un messaggio in cui esso appare sostenuto da persone che non sono militari, ma “civili”, che vogliono difendere il Partito ad ogni costo, soprattutto con la violenza. In pratica sono delle comparse e dei sicari del Partito al potere.

C’è ancora un elemento da mettere in luce: il livello di violenza e la sua intensità mostrata a Dong Hoi è molto maggiore di quella dimostrata ad Hanoi e a Thai Ha. Questo è perché il governo locale sta seguendo una precisa politica di persecuzione religiosa. Infatti esso non ha mai nascosto il suo desiderio di trasformare Dong Hoi in una “zona esente da cattolici”, come avviene a Son La e in altre cittadine degli altopiani centrali abitati dai Montagnards cristiani. Qui l’esistenza dei cattolici viene  negata, anche se ve ne sono migliaia che vivono in quell’area.

[1] Il PMU 18 è legato al ministero delle infrastrutture e per la costruzione delle strade. Il suo budget è finanziato da Paesi e organismi internazionali quali il Giappone, l’Unione europea, l’Australia e la Banca mondiale.

[2] I due arcipelaghi nel Mar Cinese Meridionale sono rivendicati da Cina, Vietnam, Taiwan, Brunei, Malaysia, Filippine. Secondo alcuni studiosi nel sottosuolo marino vi sarebbero giacimenti petroliferi.