Entusiasmi e polemiche per il riavvicinamento fra Turchia e Armenia
di Geries Othman
Realismo politico e necessità economiche spingono Ankara e Erevan ad affrettare i rapporti diplomatici e commerciali. Per la maggioranze nei due Paesi è un segno di speranza. Ma vi sono fronde contrarie: i Lupi Grigi della Turchia e gli armeni della diaspora.

Ankara (AsiaNews) - Ha destato entusiasmi e polemiche la decisione dei due ministri degli esteri di Turchia e Armenia di formulare entro sei mesi un protocollo che riavvicini i rispettivi Stati.

Il protocollo che dovrà poi essere approvato dai due parlamenti prevede quattro punti fondamentali: ripristino dei rapporti diplomatici e apertura delle rispettive ambasciate; istituzione di varie commissioni storiche per esaminare le controversie bilaterali prima fra tutte quelle dei massacri; ridiscussione dell’accordo di Kars (13 ottobre 1921) che delimita i confini tra Turchia e Armenia; riapertura delle frontiere e riavvio degli scambi commerciali.

Era un passo ormai annunciato da mesi, da quando nello scorso aprile si cominciò a parlare della road map, e ora pare che le due nazioni siano ben decise a proseguire sulla strada della rappacificazione.

Al primo sguardo pare - come sottolinea oggi con forza il quotidiano turco Yenicag, del MHP, partito d’opposizione ultra nazionalista  - che, dopo anni di chiusure, tensioni e risentimenti, sia stato il colosso turco, sotto le pressioni di America e Unione Europea a “ piegare il collo” e, con i ricatti del presidente armeno Sirkisyan, ad inginocchiarsi alla piccola e debole Armenia. Eppure  il ministro degli esteri turco Davutoglu sostiene con orgoglio che “è stata una decisione presa da Ankara”, in un chiaro e sempre più preciso intento della Turchia di trovare soluzioni di pace con tutti i suoi Stati confinanti. Tutto ciò risponde certo a una globale strategia dell’AKP, attuale partito al governo, che, guardando al bacino del Medio Oriente e alla Regione del Caucaso come una grande ed inevitabile risorsa economica, si sta impegnando ad uscire dal proprio isolamento risolvendo conflitti storici di lunga data che hanno reso la Turchia nemica di tutti i suoi stati confinanti.

Gli equilibrismi di Erdogan

Resta il fatto che il primo ministro turco, Tayyip Erdogan, si ritrova ad affrontare dei bei rompicapi e a giocare da equilibrista nel complicato scacchiere geopolitico caucasico. A tutt’oggi, una ripresa dei rapporti fra Ankara e Yerevan rischia di rompere i delicati equilibri nella regione. Primo tra tutti, quello con l’Azerbaijan.

“Frontiere chiuse finchè non finirà l’occupazione”, aveva assicurato il premier turco durante la sua visita alla capitale azera Baku lo scorso 13 maggio, dichiarando che la Turchia avrebbe normalizzato i suoi rapporti con l’Armenia solo se quest’ultima si fosse ritirata dai territori azeri occupati (Nagorno Karabakh e zone circostanti), riuscendo così a tranquillizzare l’Azerbaijan in un momento delicato per l’accordo sul progetto del gasdotto Nabucco, e continuando in questo modo ad assicurarsi la fornitura di ben 8 miliardi di metri cubi di gas provenienti dai giacimenti azeri nel mar Caspio.

D’altro canto, le aziende che commerciano tra Armenia e Turchia e il turismo armeno che si sta sviluppando sempre più verso la Turchia, sono ancora troppo ostacolati dalla chiusura delle frontiere. La maggior parte delle merci e dei turisti sono costretti a passare per la Georgia o l’Iran, per raggirare il confine chiuso, con un elevato costo di trasporto e di pagamento di tangenti e di dogane. Secondo una stima del Consiglio Turco-Armeno per lo sviluppo delle relazioni commerciali (TABC), se il confine tra Turchia e Armenia venisse aperto, il valore annuale delle merci che transitano tra i due Paesi raddoppierebbe fino ad arrivare a 300 milioni di dollari, con evidente beneficio alle casse turche.

Le urgenze economiche dell’Armenia

Anche l’Armenia avrebbe i suoi vantaggi economici: con il tracollo economico mondiale essa è letteralmente sprofondata in un abisso. Confine con l’Azerbaijan chiuso, quello con la Turchia pure, la Georgia ha pochissime risorse; l’unico Paese che da sempre aiuta è l’Iran, che ora certo non versa in buone acque. Il mercato sovietico, a cui l’Armenia è ancora legata a doppia mandata, ha subito un collasso tale da spingere il governo armeno a guardare a ovest, intensificando non solo i proprio legami con l’Unione Europea e gli Stati Uniti, ma anche a cercare aiuti proprio alla sua ancestrale nemica: la Turchia.

Così, se, secondo un’inchiesta dell’istituto turco di statistica Metropoll, il 62,8% dei turchi, soprattutto quelli lungo il confine est non sono contrari all’apertura delle frontiere con l’Armenia, sicuramente la percentuale dalla parte armena sale molto di più, sostenendo che non si può essere intransigenti quando zucchero, pasta olio, riso, medicinali, sigarette e petrolio hanno avuto nell’arco di pochi mesi un rincaro dal 10 al 30%; quando la farina è cresciuta più del 50% e il burro è salito ben del 125%.

Diaspora armena e nazionalisti turchi

Contrari ad avere relazioni diplomatiche con Ankara sono per lo più sono gli armeni della diaspora, finché non verrà riconosciuto il genocidio contro di loro. Gli armeni che vivono nel Paese più piccolo ed isolato del Caucaso meridionale sono più realisti e vedono il ravvicinamento tra i due Stati come una speranza di fronte ad un futuro economico alquanto incerto e sempre più preoccupante.

Intanto per la contestata regione di Nagorno Karabakh, c’è in corso una trattativa segreta tesa alla normalizzazione delle relazioni diplomatiche e alla riappacificazione del contenzioso tra Armenia e Azerbaijan.

Molti politici turchi - fra cui in prima fila gli ultra nazionalisti Lupi Grigi del MHP, ma anche esponenti del AKP, il partito al governo, tra cui il ministro della Giustizia Cemil Cicek - non cessano però di soffiare sul fuoco delle polemiche e, continuando ad opporsi con forza all’avvicinamento con Yerevan, dichiarano che il governo di Erdogan si è venduto all’America e all’Europa, dimenticando che armeni e curdi sono ancora nemici da combattere.

Uno spiraglio di pace si è aperto, ma è ancora lotta dura e conflittuale, dunque, tra gli orgogli nazionali e il problema economico. Ora si attende semaforo verde.