Il nuovo asse Mosca-Pechino per "limitare l'occidente"
Russia e Cina si accordano per sfuttare in maniera congiunta le risorse energetiche dell’Asia centrale e firmano contratti commerciali per 3,5 miliardi di dollari. Washington costretta a guardare in silenzio, mentre i talebani annunciano: «Mano tesa all’Organizzazione di Shanghai».

Pechino (AsiaNews) - I Paesi dell'Asia centrale e orientale che fanno parte dell'Organizzazione per la cooperazione di Shanghai (Sco) “dovrebbero accrescere il loro coordinamento per rafforzare l'impegno nella gestione della crisi afghana, unirsi per un nuovo patto energetico e limitare l’influenza occidentale nell’area”. Lo ha detto oggi a Pechino il primo ministro russo Vladimir Putin, ai margini del vertice dei capi di governo del raggruppamento internazionale che ha come capofila Russia e Cina. L’uomo forte del Cremlino ha inoltre mandato un messaggio sul tema agli Stati Uniti di Barack Obama: “Una visione comune fra Russia e Pechino può sicuramente limitare alcune delle teste calde fra i nostri colleghi”. Della Sco, oltre a Russia e Cina, fanno parte il Kazakistan, il Kirghizistan, il Tagikistan e l'Uzbekistan. Sono invece membri osservatori Iran, Mongolia, India e Pakistan.

Fino all’inizio del 2009, Mosca e Pechino si sono aspramente combattuti per la gestione dell’area ex sovietica, ricca di risorse naturali: la Russia, al momento, ne controlla le esportazioni di gas tramite il suo gigante energetico Gazprom. Pechino, da parte sua, ha sfidato il predominio russo con un accordo – siglato in giugno – che impegna il Turkmenistan a fornire dal 2010 circa 40 miliardi di metri cubi di carburante gassoso alla Cina. La conclusione dei lavori di costruzione del gasdotto – di circa 7mila chilometri –  che dovrà collegare i due Paesi è prevista infatti per la fine dell’anno in corso.

Una situazione di possibile tensione si è trasformata in una di maggiore cooperazione. Ieri il premier cinese Wen Jiabao ha raggiunto con la controparte russa un accordo che impegna Gazprom e la China National Petroleum Corporation in un contratto di fornitura pari a 70 miliardi di metri cubi di gas ogni anno. Alexei Miller, capo esecutivo del colosso russo, ha spiegato che “il contratto non è stato firmato e nessun prezzo è stato fissato”, ma gli analisti spiegano che il valore dell’accordo sfiora i 5 miliardi di dollari. Sempre il premier cinese ha siglato, ieri, accordi commerciali di vario tipo con gli imprenditori russi presenti a Pechino per un valore di 3,5 miliardi di dollari. Parlando alla stampa, Wen ha spiegato che “si preferisce indirizzare queste risorse verso mercati amici, come quello russo”. Nello specifico, si tratta di un doppio prestito da mezzo miliardo di dollari ciascuno da parte di due banche cinesi (la Development Bank e la Agricultural Bank, rispettivamente alla Veb e alla Vtb), e di una commessa militare per la produzione di missili balistici.

La cordialità fra i due governi si spiega con la crisi finanziaria, che ha costretto i litiganti a scendere a patti, e con la volontà di limitare l’influenza di Washington sull’Asia centrale. Mosca ha estremo bisogno di un altro cliente – che non sia l’Europa – per il suo gas, mentre la fame di energia spinge Pechino a non cercare la guerra aperta con il Cremlino.

Il ritrovato accordo fra i due si è espresso anche sul campo della politica internazionale: dopo un primo sostegno alle sanzioni nei confronti del regime iraniano, la Russia si è schierata con la Cina nel limitare le “punizioni” occidentali a Teheran. Ai margini dell’incontro bilaterale con Hillary Clinton a Mosca, Serghei Lavrov, ministro degli Esteri ha dichiarato che nuove sanzioni contro il governo di Ahmadinejad “sarebbero contro-producenti”. Nonostante la posizione espressa all’Assemblea generale dell’Onu, lo scorso settembre, il capo della diplomazia russa ha spiegato che “la posizione cinese di mediazione è la migliore, per il delicato momento in corso”.

Il rinnovato accordo fra i capi dello Sco ha incontrato anche il favore dei militanti talebani di Pakistan e Afghanistan: in una lettera aperta, indirizzata alle nazioni partecipanti, i fondamentalisti hanno chiesto ai Paesi vicini "di opporsi all'occupazione dell'Afghanistan da parte delle forze internazionali straniere". "Promettiamo che, una volta tornati al potere, – si legge nel testo - stabiliremo buone relazioni con i vicini dell'Afghanistan".