Il “cimitero delle navi” in Gujarat, discarica dei veleni del mondo ricco
Nel porto di Alang ogni anno centinaia di navi e petroliere vengono smantellate e distrutte. Ma l’inquinamento che producono è letale perché contengono vernici tossiche, gas, piombo, amianto. India, Bangladesh, Cina offrono i “porti dei veleni” per il resto del mondo.

New Delhi (AsiaNews) – Gli ambientalisti cantano vittoria e forse non a torto: il ministro indiano dell’Ambiente, Jairam Ramesh, ha chiesto di bloccare l’approdo al “cimitero delle navi” in Gujarat della nave passeggeri Platinum II, perché carica di materiali tossici. Delhi sembra aver capito che i lauti guadagni per lo smaltimento di rifiuti tossici e pericolosi da tutto il mondo sul suo territorio, non valgono i danni ambientali e di salute che si ripercuotono sulla popolazione.

La storia della Platinum II è simile a quella  di altre imbarcazioni più o meno sconosciute che, da anni, dai Paesi industrializzati finiscono nei porti dei veleni di India, Bangladesh, Cina per essere rottamate. I pezzi disassemblati arrivano poi fino al Pakistan. Proveniente con ogni probabilità dagli Stati Uniti, la nave ha violato il Protocollo Usa di controllo sulle sostanze tossiche e ha falsificato bandiera e documenti di registrazione nel tentativo di attraccare ad Alang, nello Stato nord-occidentale di Gujarat. Secondo i controlli effettuati dalle autorità la scorsa settimana e le denunce precedenti degli ambientalisti, la nave è costruita con materiale tossico e cancerogeno.

Come la portaerei francese Clemenceau, la cui vicenda nel 2006 fece scandalo, la Platinum II non è pulita. Anche se i dettagli dell’indagine svolta dal ministero dell’Ambiente il 20 ottobre scorso non sono ancora pubblici, secondo gruppi ambientalisti come Greenpeace o l’indiano Toxic Links, imbarcazioni di questo tipo portano con sé un vasto campionario di sostanze nocive: vernici a base di piombo, altri metalli pesanti come il cadmio e l'arsenico, e soprattutto grosse quantità di amianto.

Alang, dove “muoiono” le navi

Alang è conosciuta per essere il maggiore “cimitero di navi” dell’Asia. Ogni anno centinaia di vecchie petroliere, portacontainer e altre imbarcazioni continuano a finire su questa costa, dove squadre di 150 - 200 lavoratori, per lo più senza alcuna protezione, smontano una nave da 10mila tonnellate in tre mesi recuperando quasi tutto. L'India ha bandito nel 1997 l'importazione di navi che contengono sostanze pericolose, in conformità con la Convenzione di Basilea. Questa stabilisce che le imbarcazioni dei Paesi membri dell'Ocse (Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo Economico) devono essere smantellate negli stessi Paesi aderenti all'organizzazione. Tali proibizioni, però, vengono sistematicamente ignorate o aggirate - spesso falsificando la provenienza delle imbarcazioni.  Secondo il Christian Science Monitor, solo dal 2000 al 2008 sono state almeno 91 le imbarcazioni commerciali battenti bandiera Usa, “ri-battezzate” con nuova provenienza e poi mandate alla rottamazione nei paesi del Terzo mondo.

Secondo un reportage della Reuters, il lavoro ad Alang è in aumento, tanto che i cantieri riescono appena a soddisfare la richiesta: solo da gennaio a marzo 2009 sono arrivate 125 navi. Ne erano arrivate 136 in tutto il 2007 e 2008. Uno studio della Commissione europea sull’industria della demolizione navale mondiale stima che nel 2010 saranno 18 milioni le tonnellate di navi da smaltire. La maggior parte di queste prenderanno la via dell’Asia.

A rischio la salute degli uomini

Il commercio delle navi da rottamare è un affare lucroso, illegale, ma anche mortale. Gli operai di Alang arrivano dagli Stati più poveri dell’India. Lavorano scalzi e a mani nude: con semplici martelli e seghe fanno a pezzi carcasse arrugginite ancora piene di bitume, amianto, residui tossici, spesso di gas nei serbatoi. Un lavoro nocivo che si ripercuote con conseguenze disastrose sull’ambiente e sugli uomini. Un rapporto commissionato dal governo indiano tre anni fa mostrava che nella controversa discarica delle navi in Gujarat, un operaio su sei aveva segni di asbestosi, una malattia incurabile delle vie respiratorie.

Da anni gli attivisti chiedono la chiusura del porto del “cimitero” di Alang. “L’ordine (del ministro Ramesh) è una vittoria nella battaglia contro il traffico di rifiuti tossici nei Paesi in via di sviluppo – dichiara Jim Puckett, direttore esecutivo del Basel Action Network – finora l’India aveva sempre evitato di portare sotto i riflettori gli orrori che circondano la sua industria di rottamazione navi”. (MAl)