Mons. Jin Luxian: Cattolici di Shanghai sulle orme di Matteo Ricci
di Zhen Yuan
Per celebrare i 400 anni dalla morte del missionario gesuita, i cattolici devono imparare dal suo stile: fede in Dio, amore alla cultura cinese, rispetto per insegnanti e amici. L’educazione non può essere ridotta a un affare di mercato; i cattolici devono studiare e lavorare di più, senza perdere tempo alla televisione e al computer. “Arroganza e pregiudizio” di autorità ecclesiastiche e cinesi hanno frenato l’evangelizzazione in Cina.

Shanghai (AsiaNews) – Mons. Aloysius Jin Luxian, vescovo di Shanghai chiede ai cattolici di imparare alle qualità di Matteo Ricci, per celebrare in modo degno il 400° anniversario della morte del grande missionario gesuita.

 Nel suo messaggio natalizio, diffuso il 24 dicembre scorso, dal titolo “Il canto di Li Matou [il nome cinese di Matteo Ricci – ndr]”, egli mette in luce il contributo di Ricci (1552-1610) alla Chiesa cinese e alla società, sottolineando il suo stile nei rapporti fra la Cina e l’occidente, e chiede ai fedeli di modellare la loro vita sulle qualità di Ricci. La lettera riporta pure una lista di libri scritti dal missionario gesuita.
 
Il vescovo 93enne comunica che Shanghai, come molti altri luoghi nella Chiesa universale, celebrerà in modo solenne i 400 anni dalla morte di Ricci, avvenuta a Pechino l’11 maggio 2010 ed esprime il desiderio che i cattolici cinesi possano conoscere e imparare dalla vita di Ricci.
 
Nella lettera, mons. Jin si rivolge a Matteo Ricci, Xu Guangqi [un mandarino battezzato da un collaboratore di Ricci, originario di Shanghai, fra i fondatori della Chiesa della città - ] e a tutti i missionari in cielo di pregare per i cattolici cinesi.
 
La lettera descrive la vita di Ricci, prima e durante il suo servizio in Cina, citando le varie tappe del suo impegno a Zhaoqing, Shaozhou, Nanchang, fino al suo arrivo a Pechino. Il testo approfondisce pure il suo lavoro, la sua amicizia con i cinesi, specie con Xu Guangqi, la sua morte e la controversia dei riti[1].
 
Mons. Jin sottolinea che Matteo Ricci ha mantenuto un’intensa vita di preghiera nonostante il suo pesante lavoro quotidiano e nella traduzione di molte opere in collaborazione con Xu Guangqi e altri letterati.
 
Il vescovo elenca alcune delle qualità di Ricci che i cattolici dovrebbero imitare: la sua fede in Dio, il suo amore alla cultura cinese, il suo rispetto per insegnanti e amici. Quest’ultima è una virtù sostenuta anche dal pensiero confuciano, insieme alla saggezza con cui afferrare le opportunità che si presentano e l’impegno nello studio per arricchire la propria personalità.
 
Sottolineando l’importanza del rapporto fra insegnante e studente, mons. Jin critica alcune idee sostenute da rappresentanti attuali del governo, secondo cui l’educazione deve essere un affare orientato al mercato, mettendo in crisi tale relazione.
 
Sul tema dell’afferrare le buone opportunità, mons. Jin mette in relazione Ricci con un recente discorso del premier Wen Jiabao, secondo cui ognuno deve sfruttare le occasioni che ci sono date. Il vescovo richiama tutti i fedeli a esaminare i propri atti ogni giorno e a studiare sodo per rimanere alla pari con il mondo che cambia, senza perdere tempo davanti alla televisione o al computer.
 
Per spiegare meglio il valore della testimonianza di Ricci, mons. Jin fa quattro supposizioni: se Ricci non avesse imparato il cinese, avrebbe potuto essere espulso dalla Cina; se Ricci non si fosse fatto amico di Xu Guangqi, non avrebbe tradotto e introdotto le tecnologie occidentali nella cultura cinese; se la controversia dei riti non fosse avvenuta, il cattolicesimo avrebbe avuto una abbondante fioritura in Cina; se l’imperatore cinese avesse accettato l’adozione delle tecnologie occidentali, la Cina sarebbe stata più forte e avrebbe resistito alle invasioni straniere. Alcune di queste cose – conclude il vescovo – non sono avvenute a causa “dell’arroganza e del pregiudizio” dei leader della Chiesa e delle autorità cinesi.
 
Infine, mons. Jin cita il principio ispiratore della missione di Ricci: “In Cina, sii cinese, non permettere che i cinesi diventino come stranieri”.
 
 
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[1] Tale controversia – scoppiata dopo la morte di Matteo Ricci - riguarda il valore da dare ai riti in onore degli antenati e di Confucio. Secondo Ricci e i suoi successori gesuiti, tali riti erano da considerare un valore civile e permettevano ai cristiani convertiti di continuare a praticarli. Francescani e domenicani li giudicavano invece dei riti “idolatrici” e proibivano ai cattolici di praticarli. Nel 1742 una bolla di papa Benedetto XIV proibisce in modo radicale questi riti. Ma nel 1939, dopo ulteriori studi, una costituzione apostolica autorizza i cattolici a parteciparvi, riconoscendo in essi solo un valore civile. La controversia ha frenato – ma non bloccato – l’evangelizzazione in Cina per diversi secoli.