Sopravvissuti ai gulag chiedono il processo contro Kim Jong-il per crimini contro l’umanità
Il gruppo denuncia le violenze perpetrate dal regime, nell’indifferenza della comunità internazionale. I prigionieri non conoscono il crimine commesso e la durata della pena. Chi cerca di fuggire viene impalato.
Seoul (AsiaNews/Agenzie) – I sopravvissuti ai campi di lavoro nord-coreani chiedono un processo internazionale per il “Caro leader” Kim Jong-il, con l’accusa di “genocidio e crimini contro l’umanità”. A lanciare l’iniziativa tre reduci del campo di Yodeok, uno dei gulag sparsi per la Corea del Nord, membri dell’organizzazione Citizens Coalition for the Human Rights of Abductees and North Korean Refugees, con base a Seoul, in Corea del Sud. Nel mese di dicembre gli attivisti hanno presentato un documento al Tribunale internazionale a L’Aja, in Olanda, in cui denunciano i crimini perpetrati dal regime comunista.
 
Concentrata sulla questione nucleare nord-coreana e la sicurezza nella regione, la comunità internazionale mostra scarso interesse al dramma della popolazione del Paese. Questo è uno dei motivi che ha spinto il cristiano Robert Park, 29enne americano di origini coreane, a entrare illegalmente in Corea del Nord il giorno di Natale. Con il suo gesto egli intendeva chiedere al leader del regime di Pyongyang e agli alti funzionari di “pentirsi” per i loro peccati e liberare i nordcoreani dalla schiavitù.
 
I gulag sono una serie di campi di lavoro, nascosti nelle aree più impervie e montagnose della Corea del Nord. Sebbene meno diffusi rispetto a quelli stalinisti dell'Unione Sovietica, i gulag nord-coreani sono del tutto simili per violenze, brutalità e vessazioni.
 
Kim Young-soon, fuggita in Corea del Sud nel 2003, racconta di aver trascorso nove anni nel campo di Yodeok prima di conoscere il suo “crimine”: la donna era una conoscente di Song Hye-lim, la seconda moglie del “Caro leader”, la cui esistenza le autorità di Pyongyang hanno voluto mantenere segreta. Il più delle volte i prigionieri dei campi di concentramento non sono a conoscenza né del crimine commesso, né della durata della condanna.
 
Il centro di Yodeok, definito ufficialmente “Campo di rieducazione n° 15”, ospita circa 30mila persone ed è situato nella South Hamgyeong Province. Al suo interno regnano paura e sfiducia. Esso è circondato da reti elettriche e guardie; chi cerca di fuggire viene impalato.
 
Le persone che riescono a sopravvivere ai campi e vengono rimesse in libertà devono firmare un documento, in cui assicurano di mantenere il segreto più assoluto. Pena il ritorno nei campi di concentramento. E il popolo nord-coreano è a conoscenza della loro esistenza quanto basta per esserne terrorizzati: chi parla, viene incarcerato perché “reazionario a parole”.
 
I dissidenti sanno che la loro campagna avrà poche speranze di essere accolta e il “Caro leader” Kim Jong-il non comparirà mai davanti a un tribunale. Essi auspicano, tuttavia, che l’iniziativa possa dare luogo a pressioni internazionali verso Pyongyang, perché venga migliorata la questione dei diritti umani nel Paese.