Papa: nel cuore della Chiesa “deve sempre bruciare un fuoco missionario”
Illustrando la figura di san Domenica di Guzman, Benedetto XVI parla della “tentazione” della carriera e del potere, “da cui non sono immuni neppure coloro che hanno un ruolo di animazione e di governo nella Chiesa” e raccomanda a sacerdoti e seminaristi di curare con amore la “dimensione culturale” della fede.
Città del Vaticano (AsiaNews) - Nella Chiesa “deve sempre bruciare un fuoco missionario”, che spinge ad annunciare a tutti il Vangelo e a vivere con coerenza ciò che si proclama e non deve esserci quella “tentazione della carriera, del potere” che pure vi si trova. Sono gli insegnamenti che si traggono dalla vita e dall’opera di San Domenico di Guzman, il fondatore dei domenicani, la figura del quale è stata illustrata oggi da Benedetto XVI alle ottomila persone presenti nell’aula Paolo VI per l’udienza generale. Un incontro animato anche dall’esibizione di un gruppo di acrobati, seguita con evidente divertimento dal Papa, che li ha applauditi.
 
La personalità del fondatore dell’Ordine dei predicatori, noti come domenicani, ha dato al Papa occasione anche per raccomandare a sacerdoti e seminaristi di curare con amore la “dimensione culturale” della fede, “affinché la bellezza della verità cristiana possa essere meglio compresa e la fede possa essere veramente nutrita, rafforzata e anche difesa”.
 
Contemporaneo di San Francesco, San Domenico come il santo di Assisi ha dato un contributo fondamentale al rinnovamento della Chiesa del tempo. Di lui di diceva che “parlava sempre con Dio e di Dio”. Domenico, ha ricordato il Papa, nacque a Caleruga in Spagna intorno al 1170, da una nobile famiglia della vecchia Castiglia e, sostenuto da uno zio sacerdote, poté frequentare la scuola a Palencia. Già da studente mostrava amore per i poveri a punto di vendere i suoi libri che al tempo avevano grande valore per aiutare i poveri colpiti da una carestia.
 
Ordinato sacerdote, fu eletto canonico del capitolo della cattedrale nella sua diocesi. “Anche se questa nomina poteva rappresentare per lui qualche motivo di prestigio nella Chiesa e nella società, egli non la interpretò come un privilegio personale, né come l’inizio di una brillante carriera ecclesiastica, ma come un servizio da rendere con dedizione e umiltà. Non è forse - ha commentato Benedetto XVI - una tentazione quella della carriera, del potere, una tentazione da cui non sono immuni neppure coloro che hanno un ruolo di animazione e di governo nella Chiesa? Lo ricordavo qualche mese fa, durante la consacrazione di alcuni vescovi: Non cerchiamo potere, prestigio, stima per noi stessi. Sappiamo come le cose nella società civile, e, non di rado nella Chiesa, soffrono per il fatto che molti di coloro ai quali è stata conferita una responsabilità, lavorano per se stessi e non per la comunità”.
 
Tornando alla vita di San Domenico, con il suo vescovo compirono missioni diplomatiche nel nord dell’Europa affidate loro dal re di Castiglia. In tal modo Domenico si rese conto delle sfide che presentavano per la Chiesa i popoli non ancora evangelizzati e la lacerazione religiosa che indeboliva la vita della Chiesa nel sud della Francia, dove era operante l’azione di gruppi eretici “L’azione missionaria verso chi non conosce la luce del Vangelo e l’opera di rievangelizzazione delle comunità cristiane divennero così le mete apostoliche che Domenico si propose di perseguire”. Il Papa gli domandò di dedicarsi alla predicazione agli Albigesi, eretici “che sostenevano una concezione dualista della realtà, con due principi creatori ugualmente potenti, il bene e il male; e questo gruppo disprezzava, di conseguenza, la materia, come proveniente dal principio del male, rifiutava il matrimonio, negava l’incarnazione, i sacramenti e la risurrezione dei corpi”. Essi però “stimavano la vita povera e austera, e in questo senso erano anche esemplari, e criticavano la ricchezza del clero di quel tempo”.
 
Domenico “accettò con entusiasmo la missione” , che realizzò “proprio con l’esempio della sua esistenza povera e austera, con la predicazione del Vangelo e con dibattiti pubblici”. Così San Domenico trascorse tutta la sua vita. “I suoi figli hanno realizzato anche gli altri sogni di san Domenico: la missione ad gentes, a coloro che ancora non conoscevano Gesù, e la missione a coloro che vivevano nelle città, soprattutto quelle universitarie, dove le nuove tendenze intellettuali erano una sfida per la fede dei colti”.   “Questo grande santo ci rammenta che nel cuore della Chiesa deve sempre bruciare un fuoco missionario, il quale spinge incessantemente a portare il primo annuncio del Vangelo e, dove necessario, ad una nuova evangelizzazione: è Cristo, infatti, il bene più prezioso che gli uomini e le donne di ogni tempo e di ogni luogo hanno il diritto di conoscere e di amare! Ed è consolante vedere come anche nella Chiesa di oggi sono tanti – pastori e fedeli laici, Membri di antichi ordini religiosi e di nuovi movimenti ecclesiali – che con gioia spendono la loro vita per questo ideale supremo: annunciare e testimoniare il Vangelo”.  A Domenico si associarono altri: in tal modo, progressivamente, dalla prima fondazione di Tolosa, ebbe origine l’Ordine dei predicatori, che, in “piena obbedienza” alle direttive dei papi adottò l’antica regola di sant’Agostino, adattandola alle esigenze del tempo.
 
Anzitutto, Domenico e i suoi predicatori “si presentavano come mendicanti, cioè senza vaste proprietà di terreni da amministrare. Questo elemento li rendeva più disponibili allo studio e alla predicazione itinerante e costituiva una testimonianza concreta per la gente”. In secondo luogo, Domenico, “con un gesto coraggioso, volle che i suoi seguaci acquisissero una solida formazione teologica, e non esitò a inviarli nelle università, anche se non pochi ecclesiastici guardavano con diffidenza queste istituzioni culturali”.
 
Domenico, ha commentato il Papa, “ci rammenta che la teologia ha una dimensione spirituale e pastorale, che arricchisce l’animo e la vita. I sacerdoti, i consacrati e anche tutti i fedeli possono trovare una profonda gioia interiore nel contemplare la bellezza delle verità che vengono da Dio, verità sempre attuali e sempre vive”.
 
Quando Domenico morì nel 1221, a Bologna, “la sua opera aveva già avuto grande successo”. Domenico fu canonizzato nel 1234, e “ci indica due mezzi indispensabili affinché l’azione apostolica sia incisiva. Anzitutto, la devozione mariana, che egli coltivò con tenerezza e che lasciò come eredità preziosa ai suoi figli spirituali, i quali nella storia della Chiesa hanno avuto il grande merito di diffondere la preghiera del santo rosario”. In secondo luogo, Domenico, che si prese cura di alcuni monasteri femminili in Francia e a Roma, “credette fino in fondo al valore della preghiera di intercessione per il successo del lavoro apostolico. Solo in Paradiso comprenderemo quanto la preghiera delle claustrali accompagni efficacemente l’azione apostolica”.