Le violenze non fermano gli irakeni alle urne
di Layla Yousif Rahema
Affluenza oltre il 50%, pur con attacchi e minacce. Inizia la conta dei voti. Si profila la sfida fra al Maliki e Allawi. I timori per il futuro.
Baghdad (AsiaNews) – La violenza e gli attacchi sferrati in tutto l’Iraq ieri, nel giorno delle seconde elezioni legislative del dopo Saddam, non sono riusciti a tenere gli elettori lontani dalle urne. La Commissione elettorale centrale non ha ancora diffuso i dati ufficiali dell’affluenza, ma le prime stime parlano di almeno un 50%: su una popolazione di 28 milioni di abitanti e 19 milioni di aventi dirittoo, sarebbero stati circa 10 milioni gli iracheni recatisi alle urne dimostrando coraggio e speranza nel futuro del loro Paese. “Nonostante le bombe che sentivo fuori - racconta Ali Salim, insegnante a Baghdad - non ho voluto rinunciare a votare; ho indossato il mio vestito migliore e sono uscito per andare al seggio”. Il presidente Usa Barack Obama ha espresso “un grande rispetto” per gli iracheni che “malgrado gli atti di violenza e di sangue” si sono recati alle urne.
 
Nel tentativo di sabotare la consultazione popolare, gruppi della guerriglia sunnita ma anche sciita, hanno attaccato seggi e votanti concentrando le azioni a Baghdad, dove colpi di mortaio si sono abbattuti sui quartieri del centro, investendo anche la Zona Verde. Il bilancio delle violenze, dalla capitale a Fallujah, Baquba e Samarra, è di 38 morti nella sola giornata di ieri. In generale, però, le operazioni di voto si sono svolte con regolarità in tutte le zone. Alla chiusura dei seggi ieri, i media locali concentravano i resoconti non sulle violenze, ma sulla sfida per la guida del futuro governo tra il premier uscente sciita Nouri al-Maliki e lo sfidante Iyad Allawi, anche lui sciita ma promotore di un’agenda contraria al settarismo e alle divisioni confessionali.
 
Pur lodando il regolare e partecipato svolgimento delle elezioni, alcuni analisti però ridimensionano il “successo” iracheno notando che la questione fondamentale è nella “qualità del processo politico” e che la trasformazione dell’Iraq in una democrazia “rimane altamente incerta”, come dichiara Reidar Visser dell’Institute for International Affairs di Oslo.
 
Resta da vedere quale sarà il risultato del voto: a quali tra i 6.200 candidati andranno i 325 seggi parlamentari in palio. Per quanto riguarda i risultati, bisognerà aspettare fino all’11 marzo per quelli preliminari, secondo la Missione di assistenza all’Iraq delle Nazioni Unite (UNAMI). Per i definitivi si prevedono tempi più lunghi, dato che verranno annunciati solo dopo aver esaminato tutti i ricorsi.
 
Si profila un testa a testa per la vittoria tra la lista di al-Maliki e quella dell'ex premier Allawi, che include anche sunniti, finora auto-emarginatisi dal processo politico. Secondo la tv araba al-Jazeera, la lista di al-Maliki è in testa nelle aree sciite e in particolare avrebbe ottenuto la maggioranza dei voti nella zona di Sadr City, sobborgo sciita di Baghdad.
 
La sfida più grande sarà la formazione in tempi rapidi di un governo per evitare lo stallo politico, la possibile escalation di violenze e di conseguenza l’eventuale proroga del ritiro delle truppe americane, cavallo di battaglia dell’Amministrazione Obama.