Il Dalai Lama accusa: “Pechino uccide il buddismo”
In occasione dell’anniversario della sollevazione di Lhasa, il leader tibetano punta il dito contro il governo cinese che, tramite la rieducazione, riduce in semi-schiavitù monaci e monache. E ribadisce: “Nessuna volontà politica”.

Dharamsala (AsiaNews) – Il governo cinese “sta portando avanti diverse iniziative politiche per uccidere il buddismo. Tra queste, una campagna per la rieducazione patriottica in molti monasteri del Tibet. Stanno costringendo monaci e monache a vivere in una condizione di semiprigionia, negando loro il diritto allo studio e alla preghiera pacifica. La repressione in atto sta trasformando i monasteri in musei”. Lo ha detto questa mattina il Dalai Lama, in occasione del 51esimo anniversario della rivolta nazionale tibetana.

Secondo il leader della setta della “sciarpa gialla”, Pechino “vuole intenzionalmente cancellare il buddismo dal Tibet”. Il tradizionale discorso annuale è stato tenuto a Dharamsala, nel nord dell’India, sua residenza e sede del governo tibetano in esilio. Da qui è partito anche un invito ai funzionari del governo autonomo del Tibet, controllato da Pechino: “Visitate la comunità tibetana in esilio, per comprendere meglio i suoi obiettivi politici”.

Il Premio Nobel per la pace, inoltre, ribadisce di “non avere nessuna intenzione di ricoprire cariche politiche una volta ottenuta una reale autonomia”. Si tratta, in effetti, dell’ennesima rassicurazione in questo senso da parte del Dalai Lama, che secondo il regime cinese usa la sua autorità spirituale per rovesciare il governo comunista.

Intanto, in occasione della ricorrenza, circa un migliaio di tibetani hanno marciato stamattina a New Delhi, esibendo striscioni contro le aggressioni perpetrate dai cinesi in Tibet e inneggianti al Dalai Lama. Durante la manifestazione, organizzata dal Tibetan Youth Congress, ci sono stati alcuni momenti di tensione quando un giovane dimostrante ha cercato di sfondare la barriera eretta dalla polizia indiana. Ieri una trentina di attivisti tibetani erano stati fermati dalle forze dell'ordine mentre tentavano di marciare verso l'ambasciata cinese.

La ricorrenza di oggi coincide infatti anche con il secondo anniversario delle violenti proteste scoppiate a Lhasa e nel resto dell'altopiano tibetano in occasione delle celebrazioni per i Giochi Olimpici dell'agosto 2008. Ribadendo la sua politica della “via di mezzo” nelle rivendicazioni con la Cina, il Premio Nobel per la pace ha poi detto di non “voler assumere alcun ruolo politico nel governo in esilio o in un eventuale governo futuro in Tibet in caso di soluzione della controversia”.

Il Dalai Lama ha anche ricordato il suo incontro con il presidente americano Barack Obama e ha criticato la mancanza di libertà civili in Cina. “È essenziale - ha concluso - che il miliardo e 300 milioni di cinesi abbiano libero accesso alle informazioni sul loro Paese e sul resto del mondo”.