Resta alta la tensione, Israele blocca per due giorni i varchi con la Cisgiordania
Il vicepresidente americano Biden, in Israele per “colloqui indiretti” che rilancino il processo di pace ha accettato le spiegazioni di Netanyahu, che gli insediamenti a Gerusalemme est ci saranno solo tra alcuni anni. Un via libera all’allargamento delle colonie? Ma Abbas chede agli Usa garanzie che il progetto verrà “cancellato”.
Gerusalemme (AsiaNews/Agenzie) – Chiusura totale di tutti i varchi con la Cisgiordania, dalla mezzanotte di ieri alla mezzanotte di sabato. La decisione, annunciata dal ministro israeliano della difesa, Ehud Barak, si unisce a quella del divieto di accesso alla Spianata delle moschee per gli uomini di età inferiore a 50 anni in occasione della preghiera del venerdì. Le due misure indicano chiaramente lo stato di tensione creatosi all’indomani dell’annuncio del Ministero degli interni israeliano del via libera alla costruzione di 1600 abitazioni a Ramat Shlomo, un insediamento di ebrei ultra-ortodossi situato alla periferia di Gerusalemme est.
 
Il divieto di accesso alla Spianata per gli uomini con meno di 50 anni è misura in certo senso ordinaria, il venerdì, ma il blocco del confine con la Cisgiordania, da dove migliaia di palestinesi vanno ogni giorno a lavorare in Israele, viene ordinato solo in occasione delle più importanti festività ebraiche. E oggi non ce n’è alcuna.
 
Le autorità israeliane hanno motivato il blocco del confine con la Cisgiordania con il pericolo di attentati, confermando in tal modo che la tensione resta alta, malgrado il tentativo del governo di fare marcia indietro o almeno di mitigare le conseguenze dell’annuncio del ministro ministro degli interni e vice-premier Eli Yishai, del partito della destra religiosa Shas.
 
Il premier Benjamin Netanyahu si è innanzi tutto scusato con il vicepresidente americano Joe Biden, che è in Israele per “colloqui indiretti” tra israeliani e palestinesi, miranti a rilanciare il processo di pace, fermo dal 2008. Da parte sua, l’inviato speciale degli Usa per il Medio Oriente George Mitchell. ha raccomandato al presidente dell’Anp, Mahmoud Abbas, di non interrompere i “colloqui”, come invece aveva minacciato all’indomani dell’annuncio di Yishai.
 
Lo stesso Biden, parlando ieri all’Università di Tel Aviv, se da una parte ha detto che Israele ha "minato alla base il clima di fiducia con i palestinesi", con l’annuncio delle edificazioni, ha aggiunto che, alla luce delle spiegazioni di Netanyahu, la vicenda va superata e gli Stati Uniti - che restano amici dello Stato ebraico - ritengono sempre necessario rilanciare i negoziati.
 
Obiettivo non facile. Nelle sue “spiegazioni”, Netanyahu ha infatti detto che l’ampliamento di Ramat Shlomo è in programma solo “tra alcuni anni”. L’accoglimento da parte di Biden delle parole del premier, nota oggi un editoriale di Haaretz, di fatto è un “semaforo verde” alle costruzioni, seppure dilazionate nel tempo.
 
Ma Abbas - spalleggiato dai Paesi arabi, dalla condanna dell’Onu e di numerosi Stati, ultima la Cina, contro gli insedamenti - vuole da Washington garanzie che il progetto verrà “cancellato”.
 
Non sembra una buona base per negoziare.
 
Sullo sfondo, c’è anche una minaccia dei laburisti, parte della coalizione di governo, di abbandonare l’esecutivo. Shalom Simhon, ministro dell’agricoltura e membro del partito Labour, ha dichiarato ieri che membri del suo partito “hanno difficoltà sempre maggiori nel prendere parte alla coalizione governativa” a cui essi hanno aderito “col proposito di rilanciare il processo di pace con i palestinesi”.