L’Onu chiede ai Paesi del Golfo rispetto per i diritti di donne e immigrati
Secondo la responsabile della Commissione per i diritti umani è ora di cambiare le legislazioni che discriminano le donne, impedendo loro di compiere scelte riguardo alla vita loro e del Paese, e che sottopongono gli immigrati all’arbitrio dei datori di lavoro.
Jeddah (AsiaNews/Agenzie) - I Paesi del Golfo dovrebbero cambiare la loro legislazione in materia di diritti delle donne e dei lavoratori immigrati: le prime in quanto soggette a numerose forme di discriminazione, i secondi poiché lo “sponsorship system” attualmente vigente li espone a potenziali abusi da parte dei datori di lavoro. La richiesta è stata fatta in Arabia Saudita da Navi Pillay, responsabile della Commissione dell’Onu per i diritti umani.
 
La Pillay, in una conferenza tenuta ieri alla King Abdullah University for Science and Technology di Jeddah ha così preso di mira due dei temi più controversi della vita sociale della regione. Ed è significativo che le sue richieste, specialmente quella riguardante i diritti delle donne, abbiano avuto eco scarsissima sui media locali.
 
Per le donne, legate a una tradizione che in pratica le qualifica incapaci di qualsiasi attività giuridicamente rilevante, la Pillay ha affermato che “debbono essere rimosse” le “barriere discriminatorie che continuano a impedire alle donne il diritto di compiere le scelte che riguardano la propria vita e di partecipare pienamente alla vita pubblica, intervenendo alle discussioni che influenzano le scelte della nazione”. Ci sono Paesi musulmani, ha sottolineato, che hanno ampliato i diritti delle donne con una “interpretazione dinamica della tradizione islamica”. Governanti ed esperti hanno concordato che “tale legislazione è compatibile con la giurisprudenza islamica”. “Ed è anche tempo di mettere a riposo l’idea della tutela maschile”, che prevede la presenza, fisica e giuridica, di un uomo - padre, fratello o marito - accanto alla donna per una gran numero di atti. Compreso quello di uscire di casa.
 
Quanto al “kafala”, lo “sponsorship system”, esso in pratica prevede che il permesso di soggiorno degli immigrati è legato al contratto di lavoro. “Rapporti sulla regione – ha osservato la responsabile della commissione Onu – indicano costantemente crescenti pratiche di confische illegali di passaporti, trattenute di stipendio e sfruttamento da parte di agenzie di collocamento senza scrupoli e datori di lavoro”. “Alcuni sono stati tenuti a lungo in prigione dopo essere fuggiti dagli sfruttatori e non possono accedere al sistema giudiziario per ottenere rimedio alla loro situazione”.
 
I ricchi Stati della regione, in effetti, vedono la presenza di milioni di immigrati, soprattutto asiatici, occupati soprattutto nei lavori domestici e nell’edilizia e il sistema del “kafala” finisce col permettere ai datori di lavoro forme di sfruttamento, che vanno dal non pagamento, in tutto o in parte, dello stipendio al far pagare alle cameriere l’alloggio in casa, e non sono rarissimi i casi di violenze.
 
La questione da qualche tempo è oggetto di dibattiti anche in sede politica e ci sono vari tentativi di regolamentare diversamente la questione, riconoscendo ai lavoratori immigrati alcuni diritti.