Mons. Sako: Sicurezza per i cristiani. Baghdad chiede di non accettare richieste di asilo
Ad accrescere il dramma dei fedeli, vi è la divisione fra le comunità cristiane. Chiesti programmi per facilitare il rientro dei profughi. Il ministro dell’Immigrazione domanda a Ue, Usa, Australia di rifiutare richieste di asilo da parte dei cristiani.
Baghdad (AsiaNews) – I leader cristiani in Iraq, preoccupati dell’emorragia di fedeli che lasciano il Paese, chiedono al governo maggiore protezione per le minoranze; intanto Baghdad si appella ai Paesi occidentali perché non accettino le richieste di asilo da parte dei profughi delle stesse minoranze. L'idea è quella di scoraggiare le partenze, ma la soluzione reale del problema risiede nella garanzia di sicurezza e  servizi base alla popolazione, ancora fortemente carenti.
 
Lo scorso 26 giugno, 76 esponenti delle diverse denominazioni cristiane in Iraq si sono riuniti a Qaraqosh - nel nord del Paese, vicino Mosul – per fare il punto sulla difficile situazione della comunità afflitta da persecuzione ed emigrazione. I leader religiosi e politici hanno lanciato un appello alle autorità, chiedendo maggiore protezione per le minoranze, il rispetto dei diritti e un numero maggiore di rappresentanti cristiani nelle istituzioni nazionali e locali. Tra le richieste, emendamenti costituzionali per rafforzare i diritti della minoranza cristiana, il finanziamento di programmi che facilitino il rientro dei rifugiati, l’istituzione di una Commissione nazionale per gli Affari delle minoranze che promuova il dialogo pacifico tra gruppi etnici e religiosi e maggiori investimenti per infrastrutture nelle aree più arretrate e popolate dalle minoranze. 
 
Tra i partecipanti anche l’arcivescovo caldeo di Kirkuk, mons. Louis Sako. Il presule ha ribadito l’importanza che “i cristiani non lascino l’Iraq, ma testimonino la loro fede al loro Paese”. Allo stesso tempo, però, ha messo in luce alcune sfide che spetta agli stessi leader cristiani affrontare con urgenza, senza aspettare l’intervento della politica. Prima tra tutte, la divisione interna alla stessa comunità: “Siamo piccole Chiese che devono unificare le loro voci. Finora non c’è stata una posizione comune sull’emigrazione. Questo è una vergogna e un ostacolo. Rimarremo divisi finché guardiamo solo ai nostri interessi personali: soldi e potere. Rimarremo vulnerabili finché le nostre differenze rappresenteranno solo conflitti. Manca un’azione collettiva”, ha detto mons. Sako.
 
Durante l’incontro Athil Al-Najifi, governatore della provincia di Ninive – dove si concentra la maggior parte dei cristiani – ha annunciato l’impegno a evitare strumentalizzazioni delle minoranze e a stabilire un meccanismo di inclusione di tutti gli elementi della società civile.
 
Anche il governo centrale è preoccupato per il forte flusso di emigrazione. Per ora, però, non è riuscito a mettere a punto alcuna politica che incoraggi realmente i rimpatri e aumenti il livello di sicurezza. L’ultima iniziativa a riguardo è stata annunciata il 23 giugno dal ministro iracheno dell’Immigrazione, Abdel Sultan: Baghdad ha chiesto a Unione Europea, Usa e Australia di rifiutare le richieste di asilo che arrivano da cristiani iracheni appartenenti alle minoranze.
 
L’idea è quella di scoraggiare le partenze, al fine di “preservare la diversità etnica e religiosa del Paese”. Immediata la protesta dell’Organizzazione irachena per i diritti umani: “Si tratta di una violazione della Costituzione irachena, che garantisce il diritto dell’individuo a vivere ovunque scelga, e dei diritti umani universali”, ha detto il presidente Hasan Shabaan. (LYR)