Il negoziato va avanti, prossimo appuntamento il 14 settembre
Parole di reciproca fiducia, ma le posizioni per ora restano ferme. Ahmadinejad prevede un fallimento, mentre gruppi di estremisti annunciano un coordinamento per attacchi contro Israele. Per gli arabi in gioco non solo la pace tra palestinesi e israeliani, ma anche i rapporti di questi ultimi con l’insieme degli Stati arabi.
Beirut (AsiaNews) – Un risultato nelle quattro ore di colloquio a Washington tra israeliani e palestinesi è stato raggiunto: Benjamin Netanyahu e Mahmoud Abbas si rivedranno tra meno di due settimane, il 14 e 15 settembre, in Egitto, per continuare a discutere. L’obiettivo, secondo l’inviato speciale degli Usa per il Medio Oriente, George Mitchell è “raggiungere un accordo quadro che porti ad affrontare i problemi dello status permanente”.
 
Se il bicchiere è mezzo pieno o mezzo vuoto lo dirà il tempo. Per ora, al di là delle reciproche attestazioni di fiducia, restano le richieste, al momento senza risposta, di Netanyahu al presidente dell’Anp di riconoscere Israele “come Stato nazionale del popolo ebraico” e di Abbas al premier israeliano di porre fine alla colonizzazione e all’embargo nella Striscia di Gaza.
 
In proposito, l’israeliano Haaretz cita una importante fonte palestinese, secondo la quale gli americani avrebbero fatto pressioni su Abbas perché non interrompa il negoziato anche se gli israeliani dovessero riprendere le costruzioni, attualmente “congelate”, negli insediamenti, ma avrebbero avuto in risposta che il presidente dell’Anp “non può essere d’accordo con la ripresa delle edificazioni e sarebbe costretto a ritirarsi dal negoziato”. Abbas a sua volta avrebbe domandato che la trattativa non vada avanti per più di un anno e si concluda con la creazione di uno Stato palestinese entro i confini del 1967 e con Gerusalemme capitale.
 
Sono le posizioni note e dichiarate già prima dell’inizio dei colloqui. Così come erano note e prevedibili le reazioni contrarie di Ahmadinejad, secondo il quale il negoziato non porterà a nulla, e di Hamas, per il quale i colloqui “non sono legittimi perché il popolo palestinese non ha dato nessun mandato ad Abu Mazen”. Di nuovo, su questo fronte, l’annuncio dato ieri a Gaza da 13 organizzazioni estremistiche di un coordinamento tra loro per gli attacchi contro Israele.
 
Eppure, il più diffuso quotidiano israeliano, Yedioth Ahronoth, intitola un editoriale: “Una soluzione duratura è possibile”. Ciò perchè “il governo guidato dal Likud è uno dei più stabili che si ricordi, senza reali alternative. Se i palestinesi vogliono ottenere un accordo ragionevole con Israele, questo è il governo che può farlo. I palestinesi lo sanno”. Al tempo stesso, con Abbas l’Autorità palestinese si è allontanata dal terrorismo “più di quanto si possa dire del suo predecessore e di quanto si possa aspettare dal suo successore”. Obama, poi, “è solo al secondo anno del suo mandato con circa un anno prima di cominciare la campagna per la sua rielezione, che lascia poco tempo per i fallimenti nella mediazione per la pace in Medio Oriente”. Quanto agli altri due presenti a Washington, Mubarak e re Abdullah, il primo “vorrebbe lasciare a suo figlio e successore una questione in meno” e il secondo ha definito l’attuale “l’anno della decisione”.
  
Proprio alla presenza di Mubarak e re Abdullah, il saudita Arab News dà una sottolineatura particolare. “La presenze del monarca giordano e del presidente egiziano – scrive nel suo editoriale – è significativa. Nell’ambito dell’Iniziativa araba di pace adottata nel summit arabo di Beirut del 2002, Giordania ed Egitto sono stati designati come gli unici Stati per negoziare con gli israeliani (oltre agli stessi palestinesi) per conto degli arabi. La loro presenza a Washington dimostra simbolicamente che i negoziati hanno l’attivo sostegno degli arabi e che le trattative non mirano solo a raggiungere la pace tra palestinesi e israeliani, ma anche a un nuovo rapporto tra gli Stati arabi e Israele”.
 
Indubbiamente, prosegue il giornale, sia tra gli israeliani che tra i palestinesi e gli arabi c’è chi vuole il fallimento dei colloqui, come Hamas, “ma la posizione araba è del tutto diversa. Le trattative sono pienamente sostenute” e bisogna sperare. Ci sono segnali incoraggianti, come le dichiarazioni di Ehud Barak sulla divisione di Gerusalemme. “Ma, mentre ci sono state calde parole da entrambe le parti a Washington, ciò che è necessario sono proposte concrete. Di quelle c’è scarsa attesa”.
 
E da Amman, il Jordan Times, che intitola il suo editoriale “Per rendere la pace una realtà”, nota che “il compito che è davanti è arduo. La gente ha perso fiducia nei colloqui e c’erano molti che li hanno sempre ritenuti inutili, e questa è una ragione in più per tutte le parti coinvolte per dare sostegno a queste trattative”. “Il tempo è molto importante e dovrebbe essere usato saggiamente durante il negoziato sia per porre fine alle sofferenze del popolo palestinese che, per decenni, ha sofferto così tante pene, sia per privare i nemici della pace dell’opportunità di sabotare il processo con uccisioni, distruzioni, appropriazioni di terra o realizzazione di colonie”. (PD)