Vescovi iracheni contro l’impiccagione di Tareq Aziz
La condanna dei presuli per la pena capitale al braccio destro di Saddam: rispettare il diritto alla vita. Per il popolo si tratta di una sentenza politica. Le ombre sulla figura dell’ex ministro cristiano del raìs.

Baghdad (AsiaNews/Agenzie) – I vescovi e iracheni si aggiungono all’Unione europea e al Vaticano nel criticare la sentenza di condanna a morte dell’ex braccio destro di Saddam, Tareq Aziz. Come loro anche la maggior parte dei media iracheni. La sentenza capitale è stata emessa il 26 ottobre dalla Corte suprema irachena che ha ritenuto l’ex ministro degli Esteri del regime baathista colpevole nella campagna di eliminazione di alcuni gruppi politici sciiti, come il Dawa, del quale oggi fa parte il primo ministro Nouri al-Maliki. L’Europa, per bocca di Catherine Ashton, rappresentante della politica estera Ue, ha definito la sentenza “inaccettabile” e chiesto la sua sospensione. Uno dei legali di Tareq Aziz, Badia al-Aref, ha aggiunto che intende rivolgersi al Vaticano perché blocchi l'esecuzione, contro cui comunque farà ricorso.

I presuli iracheni: serve la pace non altro sangue

E mentre la Santa Sede fa sapere che, pur nella massima prudenza, interverrà attraverso vie diplomatiche per fermare l’impiccagione di Aziz, i presuli dell’Iraq esprimo la loro contrarietà all’esecuzione, la cui data non è ancora stata fissata. “Condanniamo in ogni caso la pena capitale'', ha affermato il vicario patriarcale caldeo di Baghdad, mons. Shlemon Warduni, commentando la notizia al sito Baghdadhope. “La nostra fede ci porta a credere che a nessuno debba essere tolta la vita che Dio ha donato. Ciò che chiediamo è la pace, la sicurezza e l'incontro tra le persone, non il loro scontro”. Dello stesso parere anche l'arcivescovo latino della capitale irachena, mons. Jean B. Sleiman, che ha avanzato “l'ipotesi” che la condanna possa essere una sorta di “messaggio di stop” alle parti che in Iraq premono per il reintegro nella vita politica e sociale del Paese dei membri del disciolto partito Baath di Saddam Hussein.  Che si tratti più di una sentenza politica che giuridica lo pensano anche gli stessi iracheni. “La maggioranza del popolo è contro la condanna a morte di Tareq Aziz - assicura Taleb Abdulaziz, giornalista iracheno del quotidiano kuwaitiano al Qabas – è un uomo vecchio e malato, la condanna doveva essere molto più  leggera”.

Una figura controversa

L’ex ministro degli Esteri, cristiano caldeo, è spesso citato come prova del favore che i cristiani avrebbero goduto sotto Saddam. “Niente di più falso”, dicono alcuni caldei iracheni. Nato nel 1936, vicino Mosul da famiglia caldea, Tareq Aziz ha sempre messo in secondo piano la sua appartenenza religiosa, presentandosi prima di tutto come arabo iracheno e membro del Baath. Ha cambiato il suo nome originale, Michael Yohanna, per uno meno compromettente. Davanti alla nazionalizzazione delle scuole cristiane “non ha mosso ciglio”, stessa cosa con il provvedimento per l’insegnamento obbligatorio del Corano.

In un’intervista ad AsiaNews del 2003, mons. Sleiman ricordava che “spesso come minoranza cristiana ottenevamo concessioni non da Aziz, ma da altri ministri musulmani”.