Mosca sotto assedio per violenze razziste
di Nina Achmatova
A scatenare gli scontri tra ultrà nazionalisti xenofobi e immigrati del Caucaso, la morte di un tifoso dello Spartak ucciso in una rissa con un caucasico. Da quattro giorni la capitale è sotto coprifuoco e si registrano continui episodi di xenofobia. La polizia ha arrestato ieri oltre 1300 persone tra immigrati ed estremisti. Leader religiosi islamici e ortodossi mettono in guardia sul rischio di stragi a sfondo etnico.

Mosca (AsiaNews) – Da quattro giorni la capitale russa vive un’escalation di violenza che vede protagonisti gli ultranazionalisti e xenofobi legati al tifo calcistico e gruppi organizzati di immigrati dal Caucaso. Ieri, in una maxiretata della polizia in occasione di una manifestazione annunciata dai tifosi, sono state arrestate circa 1300 persone, la maggior parte delle quali immigrati con cui gli estremisti avevano già iniziato a scontrarsi.

Il capo della polizia cittadina, Viktor Biryukov, ha fatto sapere che i suoi agenti hanno sequestrato coltelli, bastoni e altre armi da trauma. Intorno alla stazione di Kiev in cui si era radunata la manifestazione xenofoba e gli immigrati impegnati nella contro protesta, si sono concentrati oltre 3mila agenti in assetto antisommossa. “Caucasici a casa” e “La Russia per i russi” erano alcuni degli slogan esposti e urlati dai manifestanti.

La miccia, una rissa tra tifosi e immigrati

A innescare la violenza è stata la morte di un tifoso dello Spartak, in una rissa con un caucasico, lo scorso 11 dicembre. Subito dopo l’uccisione del giovane tifoso sono iniziate a circolare in rete e sui media voci e segnalazioni per l’arrivo nella capitale di gruppi di caucasici pronti a rispondere alle provocazioni degli hooligan dello Spartak. Che a loro volta erano già scesi in strada urlando cori razzisti. La reazione dei “compagni” del ragazzo ucciso è stata infatti di stampo nazionalista, con una prima e violenta manifestazione sfociata nel fine settimana in una vera e propria guerriglia urbana sotto le mura del Cremlino e terminata con un bilancio di oltre 30 feriti e una settantina di “fermi”. Da allora Mosca vive praticamente uno stato di assedio, col centro chiuso e pattugliato da polizia in tenuta antisommossa, pronta a intervenire in caso di nuovi episodi.

L'allarme xenofobo ha registrato, il 13 dicembre, anche aggressioni da parte di bande di giovani nei confronti di immigrati caucasici e la morte, per accoltellamento, di un daghestano che era stato prima brutalmente picchiato.

L’appello dei leader religiosi alla pace

Il livello di allerta ha portato alla mobilitazione anche gli esponenti della comunità religiose. Il capo del consiglio dei mufti Ravil Gainutdin ha messo in guardia sul rischio di una deriva “anti-caucasica e anti-islamica della società russa”. “La Russia non diventi un’arena di una strage tra le etnie”. E ha invitato “la gioventù, prima di tutte quella mussulmana, a non rispondere alle provocazioni. Non uscite da casa” è stato il suo appello.

Anche la Chiesa russo-ortodssa ha preso posizione sulla “situazione preoccupate” dei rapporti interetnici. Il capo del Dipartimento per i rapporti tra Chiesa e società del Patriarcato di Mosca, l’arciprete Vsevolod Chaplin, ha chiesto alle autorità di espatriare gli immigrati responsabili e alla popolazione locale ha chiesto di dialogare sulla base di comune regole di compritamento.