L’instabile Tunisia inquieta il mondo arabo, fra islamismo e democrazia
Nuovi tentativi per costituire un governo d’unità nazionale dopo l’abbandono di quattro ministri legati ai sindacati. Emarginato il partito di Ben Alì. Povertà, disoccupazione, corruzione – alla base della rivolta – rendono la Tunisia un modello per altri Stati arabi. Al-Qaradawi esorta tutti i popoli islamici a sollevarsi per “esigere i loro diritti”.
Doha (AsiaNews) – Non si fermano le manifestazioni di protesta a Tunisi e in altre parti del Paese, mentre si sbriciola il governo di unità nazionale dopo la fuga del dittatore Ben Alì. Intanto, a causa delle miseria che attanaglia il mondo arabo, vi sono sempre più persone che si autoimmolano dandosi fuoco (fino a 14), mentre il fondamentalismo islamico cerca di cavalcare la protesta.
 
Almeno 10 mila persone hanno partecipato ieri in una marcia a Sidi Bouzid, dove sono iniziate le dimostrazioni che hanno portato alla caduta di Ben Ali e alla sua fuga in Arabia saudita il 14 gennaio scorso. La scintilla che un mese fa ha fatto scoppiare tutto è il suicidio col fuoco di un giovane disoccupato. Ieri la polizia ha usato gas lacrimogeni per disperdere la folla. Altre manifestazioni si sono tenute anche a Monastir, sul Mediterraneo.
 
Intanto, il governo di unità nazionale capeggiato dal premier Mohammed Ghannouchi ha già perso quattro ministri, legati al mondo del sindacato: l’opposizione ha messo come condizione che il nuovo governo sia epurato da tutti i membri del partito di Ben Alì (il Constitutional Democratic Rally, Cdr), accusato di corruzione. Ghannouchi cercherà nel pomeriggio di ricostituire un governo, ripulendolo dei membri legati Cdr. Egli stesso e Fouad Mebazaa, il presidente ad interim, si sono ufficialmente staccati dal Cdr.
 
Nell’attesa di future elezioni a metà luglio, il movimento islamista Ennahda (“Rinascimento”), perseguitato da Ben Alì, ha annunciato di voler domandare la sua legalizzazione per partecipare alle elezioni. Smantellato dopo le elezioni del ’91, dove aveva ottenuto il 17% dei voti, Ennahda rivendica per sé un islam moderato e riformatore come l’Akp turco. Nello stesso tempo, Moncef Marzouki, leader storico dell’opposizione a Ben Alì, è tornato in Tunisia e ha annunciato di volersi candidare come presidente. Marzouki è presidente del partito del Congresso per la repubblica; ha lavorato nel campo dei diritti umani ed è stato diverse volte arrestato durante la dittatura. Il suo partito è stato bandito nel 2001 e nel 2002 egli è fuggito in Francia.
 
Quanto avviene in Tunisia sta scuotendo in profondità il mondo arabo. Dittature più o meno benevole sono presenti ovunque in Medio oriente e nell’Africa del nord ed è la prima volta in questa generazione che un cambiamento di regime arabo avviene grazie a un movimento popolare, senza interventi a aiuti da parte di qualche potenza straniera.
 
Ciò che rende la Tunisia simile ad altri Paesi medio-orientali è la povertà e il desiderio di cambiamento. In Tunisia la disoccupazione è giunta al 13,1%; l’aumento dei prezzi del cibo, insieme alla corruzione della leadership e alla mancanza di libertà hanno scatenato per un mese le dimostrazioni che hanno portato alla caduta di Ben Alì, considerato un “socialista”.
 
Secondo una ricerca della Gallup sui 22 Paesi arabi, i giovani fra 15 e 29 anni hanno un forte desiderio di migrare, di avere una vita migliore, di avere un lavoro. Essi sono il 40-45% in Paesi come Yemen, Marocco e Tunisia; solo il 5% nei Paesi del Golfo. La fiducia nei loro governi raggiunge una media del 50% (il 34% nei Paesi arabi poveri; il 90% nei ricchi Paesi del Golfo).
Queste similitudini spiegano la diffusione della protesta attraverso l’autoimmolazione.
 
Dopo il giovane tunisino Mohamed Bouazizi, altre 13 persone si sono date fuoco in Algeria, Egitto, Mauritania (e Francia). In Algeria le persone che vivono la di sotto della povertà sono il 23% della popolazione; in Egitto quasi il 50%; in Mauritania più del 50%; in Giordania il 25%.
 
Mentre i tunisini cercano di emergere dalla confusione e dalla miseria – la caduta del regime è costata 78 morti; 94 feriti e danni per 2 miliardi di dollari – in Medio oriente si scatena il conflitto
ideologico sul suo futuro e quello del mondo arabo. Lo scorso venerdì, lo sceicco radicale al-Qaradawi del Qatar ha proclamato  che “la rivoluzione popolare della Tunisia è una rivoluzione contro l’ingiustizia” e che i popoli islamici devono sostenerla. “Il popolo – ha aggiunto - deve levarsi e esigere i propri diritti” e ha chiamato “davanti a Dio, tutti i leader islamici, eccetto quelli che mostrano misericordia”.
 
Qualcuno vede nel discorso di Qaradawi il tentativo di cavalcare la rivolta tunisina – popolare e laica – indirizzandola verso il fondamentalismo.
 
Dalle pagine del giornale Asharq Al-Awsat, gli risponde il direttore Tariq Alhomayed: “Qual è il modello di leadership che al Qaradawi vuole sia adottato dai tunisini? È un regime islamico come quello in Sudan, che ci lascia con un Paese arabo diviso e separato? O vuole un sistema simile all’emirato di Hamas a Gaza, che opprime i palestinesi come una forza occupante? Vuole uno Stato basato su un certo principio, dove alla base vi sono i divieti e dove i permessi sono l’eccezione?”.
 
Il giornalista conclude consigliando a Qaradawi di “lasciare che i tunisini trovino [da soli] i loro strumenti” per il progresso del Paese. (IA)