Cristiani e musulmani, piagati da carovita e corruzione, uniti nelle strade del Cairo
Le manifestazioni non hanno rivendicazioni islamiche, ma di giustizia sociale. I prezzi del pane e di altri beni sono cresciuti in modo enorme, mentre i salari sono insufficienti. Manca una leadership che guidi la rivolta. El Baradei positivo, ma insufficiente. La comunità internzionale non deve stare a guardare.
Il Cairo (AsiaNews) – Oggi, subito dopo la preghiera musulmana del venerdì, in diverse zone della capitale si sono formate manifestazioni contro il governo egiziano. Ma le dimostrazioni che scuotono il regime non hanno carattere confessionale. Esse nascono dalle piaghe che tutti, cristiani e musulmani, devono sopportare: prezzi cresciuti fino a 50 volte; salari senza valore; miseria, fame, mancanza di medicine e cure mediche; anzi, questa crisi colpisce i cristiani ancora di più, a causa dell’emarginazione a cui sono soggetti. È il quadro che racconta un sacerdote copto , Boulos Garas (non il suo vero nome, per motivi di sicurezza) ad AsiaNews. P. Boulos sottolinea anche i problemi politici del Paese, con una quasi-dinastia che dura da 30 anni e un parlamento senza opposizione. Le prospettive sono ancora oscure, ma è importante che i Paesi amici dell’Egitto spingano il governo a fare le riforme necessarie. Senza timore di “intromettersi negli affari interni”, perché è in gioco la dignità dell’uomo. Ecco l’intervista completa a p. Boulos.
 
Chi sono quelli che manifestano?
 
Nelle manifestazioni che ingrossano le strade del Cairo e di altre città dell’Egitto, cristiani e musulmani sono uniti. Per le dimostrazioni i luoghi di ritrovo e di raduno sono chiese e moschee. Ciò che spinge la gente a sollevarsi non è un problema religioso, ma di giustizia sociale: la corruzione, il carovita, la mancanza di democrazia... Queste piaghe toccano tutti quanti, cristiani e musulmani.
Il problema più urgente è il carovita. Per fare un esempio, il pane costa 5 piastre, ma è immangiabile. Per un pane “umano”, da mangiare, occorrono 25 piastre. Un chilo di zucchero, che era a 50 piastre (0,5 lire egiziane), ora ha raggiunto il prezzo di 5 lire egiziane. I prezzi aumentano fino a 50 volte, e i salari sono aumentati solo del 10%. Vi è tanta gente che non riesce nemmeno a curarsi per il costo alto delle medicine. Conosco malati che si lasciano morire perché non hanno i soldi per comprare le medicine o farsi operare. La povertà è sentita più nelle città. Nei villaggi i contadini si accontentano di poco; nelle città invece, oltre alla disoccupazione, vi sono i prezzi troppo alti. Ogni mattina si vedono persone che rovistano fra i rifiuti in cerca di qualcosa da mangiare.
Purtroppo, almeno per ora, le manifestazioni sono poco organizzate: c’è sì un movimento di popolo, ma senza leader, se non quelli locali. Anche l’opposizione – i Fratelli musulmani – è divisa. Tutto questo rende difficile fare delle previsioni su come andrà a finire. L’ondata aumenta però di giorno in giorno, come oggi, dopo la preghiera del venerdì.
 
C’è un’influenza islamica in queste rivolte?
 
In Tunisia – da cui è partito questo “effetto domino” - le rivolte sono avvenute in modo “laico”, senza riferimento alla fede e alla preghiera islamica. Qui in Egitto c’è anche un legame con la moschea e con la religione. Ma la Tunisia è un Paese laico da 60 anni; qui siamo in un Paese dove l’Islam – per costituzione - è la religione ufficiale. Ma nelle rivolte non c’è alcuna rivendicazione islamica. É il popolo che sente il peso della vita, della corruzione economica. D’altra parte, qui i leader religiosi sono pagati dallo Stato e quindi spesso devono dire quello che il governo vuole.
 
Che futuro hanno queste manifestazioni?
 
La gente vuole una riforma generale: politica, economica, sociale perché non si può continuare così.
Per ora non è possibile oracoli o profezie: nessuno sa verso quali prospettive ci dirigiamo. L’unica cosa certa è che è necessario cambiare questo sistema che si è ossificato negli ultimi 30 anni. Pensi che nelle ultime elezioni parlamentari, su oltre 400 legislatori, solo uno è dell’opposizione, gli altri sono tutti del partito di Mubarak. E questa è democrazia?
Abbiamo qualche piccola speranza in Muhammad El Baradei, l’ex capo dell’Aieia [l’ente nuclare dell’Onu] che è stato all’estero e non è coinvolto nelle beghe locali. Ma una persona sola non è sufficiente per garantire i cambiamenti necessari.
 
Vi sono preoccupazioni verso i cristiani?
 
In questo momento le manifestazioni non sono contro i cristiani. Il patriarca Shenouda ha invitato alla calma. Ma molti, cristiani e non, gli hanno risposto: Non è questo il momento di essere calmi, perché anche i cristiani sono colpiti dalla crisi. Anzi, per i cristiani la crisi economica è ancora più forte: poiché essi sono discriminati, fanno più fatica a trovare un lavoro; nelle promozioni, un impiegato più giovane, musulmano, lo scavalca nella carriera; se un cristiano ha un negozio, da lui va meno gente.
 
L’occidente è implicato o sta a guardare?
 
La situazione è molto difficile. Noi speriamo che i Paesi amici dell’Egitto possano influenzare il governo per varare alcune riforme urgenti. Forse in occidente non si ha voglia di “intervenire negli affari interni” di un altro Stato. Ma qui non è un problema di “affari interni”: c’è di mezzo la dignità umana di ogni egiziano.