Il primo giorno dopo Mubarak: l’alba e l’effetto domino
A piazza Tahrir militari e giovani volontari ripuliscono il luogo dalle barricate e dai rifiuti. I Paesi arabi salutano “il giorno storico” dell’Egitto, m temono un “effetto domino”. Attivisti del Golfo si preparano a manifestazioni. Anche la Cina teme l’esempio egiziano.
Il Cairo (AsiaNews) – Gli egiziani sono ancora in festa dopo le dimissioni del presidente Hosni Mubarak avvenute ieri sera. Decine di migliaia di giovani sono ancora presenti a piazza Tahrir e nelle vie adiacenti, le voci ormai rauche per il troppo gridare e cantare per tutta la notte. L’esercito ha cominciato a ripulire la piazza delle barricate e delle auto bruciate, mentre molti giovani e volontari spazzano l’area dai rifiuti.
 
L’entusiasmo è grande per questa “rivoluzione dei giovani”, come è stata battezzata dai maggiori media del Paese, anche se vi sono domande su cosa ci si attende dal futuro. Le forze armate hanno ora in mano il potere e hanno promesso di “non sostituirsi alla legittimità voluta dal popolo”, garantendo una “elezione presidenziale libera e trasparente” e il cambiamento della costituzione verso una visione più democratica.
 
Un manifestante ha dichiarato ad AsiaNews: “È la gioia pura. Siamo coscienti che nella vita non c’è fatalità o destino: la storia è nelle nostre mani”.
 
La comunità internazionale ha salutato le dimissioni di Mubarak, loro antico amico, come “un giorno storico”. Anche molti Paesi islamici hanno salutato “l’alba” di un nuovo Egitto. Ma vi sono anche timori per un possibile “effetto domino” che dall’Egitto si può comunicare ad altri Paesi arabi e non arabi.
 
Nelle scorse settimane, rivolte sono scoppiate in Tunisia, Egitto, Giordania, Marocco, Algeria, Siria, Yemen, tutte motivate da disoccupazione, carovita, corruzione, poteri dittatoriali.
 
Molti Paesi islamici temono che la loro gente segua l’esempio dell’Egitto, il più popoloso dei Paesi arabi. Gruppi di attivisti del Golfo stanno già programmando manifestazioni e hanno domandato ai governanti di Bahrein, Emirati, Arabia saudita di non bloccare i raduni. Essi chiedono loro di “comprendere che è tempo di liberare tutti i prigionieri politici e di coscienza e stilare una costituzione che risponda alle esigenze dei tempi moderni”.
 
Fra i Paesi che temono l’esempio dell’Egitto vi è pure la Cina. Nei 18 giorni di manifestazioni in piazza Tahrir, l’informazione in Cina era controllata. Alcuni giorni fa, a Guizhou, attivisti che distribuivano volantini con notizie su quanto accadeva al Cairo, sono stati fermati dalla polizia.