Card. Ranjith in visita tra i tamil, vittime di guerra
di Melani Manel Perera
Ferite ancora aperte e problemi di comunicazione tra gli sfollati e l’esercito, che non parla la lingua dei locali. Una missione d’inchiesta nella provincia del nord per valutare la situazione, a due anni dalla fine del trentennale conflitto etnico.

Colombo (AsiaNews) – Nella provincia del nord, gli sfollati e le vittime di guerra tamil hanno espresso le loro sofferenze e lamentele ai delegati del Congresso delle religioni, che hanno compiuto una missione d’inchiesta (28-30 marzo scorsi) per valutare la situazione di quelle zone. A due anni dalla fine del conflitto etnico “la vastità della distruzione provocata dagli ultimi mesi della guerra è misurabile dalle carcasse delle auto esplose, abbandonate fuori dagli edifici lungo i lati della strada che da Pudukudirippu conduce a Paranthan... quelle carcasse sono tutto ciò che resta delle persone che vivevano in quelle case”, riporta la relazione stilata dopo la visita.

Dal rapporto emerge che la maggior parte del personale militare non parla il tamil, la lingua parlata nella provincia del nord, creando così un grave problema di comunicazione.

Tra i delegati, anche il card. Ranjith, arcivescovo di Colombo. La maggior parte delle vittime di guerra vivono ancora in grande insicurezza, sentendosi abbandonate e prive dei bisogni minimi della vita. Inoltre, la delegazione ha avuto la possibilità di visitare il bunker sotterraneo di Velupillai Prabhakaran, l’ultimo leader delle Liberation Tigers of Tamil Eelam (Ltte).

I 26 delegati del Congresso delle religioni erano: 10 monaci buddisti, tra cui il bonzo Ittapane Dhammalankara Anunayake Thero; sei sacerdoti cattolici, inclusi il card. Ranjith e l’arcivescovo emerito Oswald Gomis; due rappresentanti della Chiesa di Ceylon; due sacerdoti metodisti; due musulmani; due indù; due laici della Caritas Sri Lanka – Sedec.

Intanto, ieri il governo dello Sri Lanka ha rigettato una relazione, commissionata dal segretario generale delle Nazioni Unite Ban Ki-Moon, dove viene accusato di violazioni dei diritti umani, commesse nelle fasi finali del conflitto etnico, concluso nel 2009.