Umanesimo cristiano in aiuto all’imprevista “primavera araba”
di Bernardo Cervellera
Il Comitato scientifico della rivista Oasis apre il dibattito sul presente e sul futuro delle “rivoluzioni dei gelsomini”. Vi sono segni di grande novità: la battaglia contro la povertà, per la dignità umana, il rifiuto del radicalismo islamico. Preoccupano le pressioni dei gruppi fondamentalisti e i timori di Iran, Arabia saudita, Europa. Il patriarca Scola: È necessaria una nuova “ragione economica” e un umanesimo cristiano che sostenga i cambiamenti in atto.
Venezia (AsiaNews) – In poco meno di un anno il Medio oriente (compreso il mondo arabo del Nordafrica) è cambiato in modo radicale, manifestando una nuova e “imprevista primavera araba”. Qual è il suo destino? Qual è il contributo che i cristiani possono dare per stabilizzare tale cambiamento? Quali sono le conseguenze per l’Europa che assiste impotente ed è solo preoccupata delle ondate di nuovi profughi? Sono queste alcune delle domande che il Comitato scientifico della rivista Oasis si sta ponendo in questi giorni del suo raduno annuale a Venezia, sotto la presidenza del suo fondatore, il card. Angelo Scola.

L’incontro si tiene da oggi fino al 22 giugno presso il Centro studi dell’Isola di S. Servolo e vede la presenza di diverse autorità ecclesiali da Egitto, Tunisia, Siria, Kuwait e Abu Dhabi, insieme ad accademici e studiosi da tutte le parti del mondo. Tutti tentano di rispondere al tema del convegno: “Medio oriente verso dove? Nuova laicità e imprevisto nordafricano”.

Questa mattina, dopo i saluti di rito del direttore di Oasis, Martino Diez, è stato proprio il patriarca di Venezia a segnare le coordinate della problematica. Al di là di una reattività “d’ottimismo e pessimismo” verso i cambiamenti in corso, il card. Scola ha sottolineato che la primavera araba sta mettendo in luce una “nuova laicità”, che non pesca la sua forza in modo diretto nella religione (islamica), ma nella ricerca di dignità umana, umiliata dalla povertà e dalla mancanza di diritti. Allo stesso tempo, egli mostra che questa rivoluzione è fragile e ha bisogno di solidificarsi e irrobustirsi anzitutto dal punto di vista economico.

In parallelo, egli ha tracciato il problema dal punto di vista europeo (la “stanca, passiva, dissipata, divisa Europa”) che si preoccupa solo del flusso di profughi che arrivano sulle sue coste (poche migliaia) e non si accorge che la Tunisia, molto più povera, ne sta accogliendo dieci volte di più.
Anche l’Europa ha bisogno di ripensare alla sua economia e al sistema economico globale, per venire incontro alle domande della “primavera araba”.

La risposta è una “nuova ragione economica” - come tratteggiata da Benedetto XVI nella sua enciclica “Caritas in veritate” - che prenda a cuore anche lo sviluppo dell’Africa, che non si accontenta della globalizzazione delle merci e degli uomini (anche dei profughi), ma globalizzi il profitto e i valori.

Per questo, sia nel mondo arabo che nel mondo occidentale è necessaria la testimonianza di un “umanesimo cristiano”, che abbia come base la dignità della persona umana (uomo “creato a immagine e somiglianza di Dio” – v. Genesi 1,27; uomo “luogotenente di Dio sulla terra” – v. Corano 2,30).

Gli altri interventi della giornata hanno guardato in modo più analitico le diverse situazioni: quella della Tunisia e della tentazione fondamentalista di al-Nahdha, organizzazione radicale ritornata in auge dopo la caduta di Ben Ali, è stata studiata dalla prof. Malika Zeghal, di Harvard. Il prof. Nikolaus Lobkowitcz (università di Eichstaett), ha tentato un paragone fra la rivoluzione dell’89 in Est Europa e quella araba attuale, mostrandone soprattutto le differenze. Mons. Maroun Lahham, arcivescovo di Tunisi ha manifestato il ruolo marginale che la Chiesa ha avuto nella primavera araba in Tunisia, definendola però un esempio dei “semi del Regno” al di fuori delle frontiere della Chiesa.

Fra le diverse relazioni, si è distinta quella di Olivier Roy, professore dell’università europea di Firenze. Per Roy la “primavera araba” è un punto di non ritorno su cui egli è ottimista. Essa è giunta come una spinta ai diritti dell’individuo (e non delle masse); ha messo in crisi l’islam politico (nessuna similitudine con la rivoluzione khomeinista; né rivendicazioni per i palestinesi; né proclamazione del Corano come “la soluzione” dei problemi (v. Fratelli musulmani); sostiene la “dignità personale”, più che “l’onore” del gruppo.

La religione è messa in secondo piano perché alla base vi è una scelta molteplice dei giovani (veri attori della rivoluzione): vi è chi segue i sufi, chi qualche maestro spirituale, chi lo yoga, chi lo zen…

Nonostante ciò, la presenza di gruppi radicali fa essere timorosi sul suo futuro. Per ora si può solo dire che nel futuro immediato vi saranno dibattiti molto forti su alcune questioni di rapporto fra la religione e la politica: l’apostasia, la blasfemia, ecc…

Un fatto messo in luce da Roy è lo sbigottimento di molta parte dell’opinione pubblica mondiale;m la paura di Iran e Arabia saudita; l’occidente timoroso per la sua economia e per il flusso dei profughi; Israele che teme la destabilizzazione del Medio oriente.

Secondo Roy, la qualità della rivoluzione araba si misura non tanto sul termine “laicità”, ma sul posto che la religione può avere nel nuovo assetto socio-politico. In ogni caso, i cambiamenti avvenuti sono sulla pista di “valori universali” vicini alla “dignità dell’uomo” e al “buon governo” della tradizione occidentale, anche se non coincidenti.

Da parte sua, la professoressa Hoda Nehmé, decano di Filosofia all'università di Kaslik (Libano), ha fatto notare con un certo pessimismo che nella storia del mondo arabo e islamico vi sono state molte volte "rivoluzioni" e tentativi di affermare la "laicità", ma purtroppo l'integralismo religioso - talvolta aiutato dall'occidente - ha sempre avuto la meglio.