Colombo impedisce agli sfollati della guerra di tornare alle loro case
di Melani Manel Perera
Il governo dello Sri Lanka vuole chiudere l’ultimo dei campi di rifugiati, e trasferirli nella giungla, in un villaggio che si sta preparando. Ma non ci sono acqua, fogne, scuole o luoghi di culto. Un appello alle organizzazioni internazionali.
Colombo (AsiaNews) – Il governo dello Sri Lanka ha deciso di prendere misure urgenti per chiudere l’ultimo dei campi che hanno ospitato oltre 200mila “Internally Displaced Persons” (Idp) cioè i rifugiati dai luoghi di guerra, alla conclusione del conflitto nel maggio 2009. L’esecutivo ha annunciato che sono in corso i lavori per la costruzione di un nuovo villaggio di 600 acri a Kombavil, nel distretto di Mullaitivu, per ospitare i rifugiati della Manik Farm di Vanvuniya. Le persone interessate hanno espresso il loro rifiuto: vorrebbero tornare a quelle che erano le loro case e i loro campi.

Il problema per il governo è questo: le case degli sfollati sono nella zona che era teatro dell’ultima fase della guerra, ma essa deve ancora essere “ripulita” dalle migliaia di cadaveri, molti dei quali rimasti intrappolati nelle fortificazioni e nelle trincee. Il governo non vuole impegnarsi in questa operazione, e preferisce trasferire in un nuovo villaggio nella giungla l’ultimo contingente di Idp.

AsiaNews ha parlato con alcuni dei rifugiati a Manik Farm, e questa è la loro dichiarazione: “Proveniamo da diverse zone di Puthukudyiruppu e viviamo in questo campo dall’aprile 2009. Molti di noi sono pescatori e contadini. Ma nel villaggio che stanno costruendo a Kombavil non ci sono possibilità né per la pesca né per le coltivazioni. Non ci sono opportunità di lavoro, e neanche servizi essenziali, come l’acqua, o le fogne, la scuola o luoghi di culto. I bambini dovranno recarsi in un altro villaggio per studiare, e non ci sono collegamenti”.

Una donna sfollata, G. Jeyarani, ha poi messo in evidenza un problema comune a molte: “La maggior parte di noi sono vedove, che non hanno nessun uomo che le aiuti a pulire il terreno per coltivarlo, costruire una casa o fare lavori agricoli per sopravvivere. Temiamo per la nostra sicurezza, specialmente a causa del fenomeno dei ‘grease devils’. Non abbiamo un uomo che ci protegga”. “Grease devils’ sono chiamati intrusi e ladri notturni che quando cala l’oscurità prendono di mira le donne sole. M. Shantha, una vedova, dice: “mio marito è morto a causa di una bomba. Ho tre figli piccoli. Voglio tornare alla mia casa, nel mio villaggio, che mi è familiare, e ricominciare la mia vita laggiù”.

Una religiosa cattolica che vive a Vavuniya sostiene le richieste degli sfollati. “Credo - dice ad AsiaNews - che la decisione del governo di mandare gli sfollati della Manik farm a Kombavil, un luogo che non conoscono neppure, sia contro il loro diritto fondamentale al cibo, a un alloggio e a indumenti adatti. Sono dal 2009 nei campi e hanno sofferto immensamente. Hanno diritto di tornare alle loro case, e vogliono tornare alle loro case e ricostruirsi una vita, e essere autonomi e in grado di sostentarsi”.

A tutti questi probpemi se ne aggiunge un altro: le Ong non avranno il permesso di assisterli nel nuovo villaggio. Nei campi le Ong li aiutano molto: “E’ grazie a loro che siamo riusciti a sopravvivere”, dicono. Il governo fornisce solo razioni asciutte e in maniera non regolare: riso, olio di palma e lenticchie gialle, che spesso non si riescono nemmeno a cuocere. Con questo non si può sopravvivere”. Le Ong hanno fatto sì che la sopravvivenza fosse possibile. Il governo di Colombo ha promesso che darà a ogni famiglia un appezzamento di terreno e una casa provvisoria per ricominciare una vita. Ma gli sfollati non si fidano. E chiedono alle organizzazioni umanitarie internazionali di mobilitarsi di aiutarli.