Mons. Martinelli: Cristiani testimoni della Pasqua nella Libia piagata da odi e violenze
Vescovo di Tripoli racconta i preparativi della Pasqua della piccola comunità cattolica libica. Otto persone dell'Africa sub-sahariana saranno battezzate alla messa di Pasqua. Le celebrazioni avverranno tutte di giorno. Il difficile ritorno alla normalità dopo 42 anni di dittatura e un anno di guerra civile.

Tripoli (AsiaNews) - "La presenza dei cristiani sta aiutando il popolo libico a recuperare il senso della vita, attraverso uno sguardo soprannaturale che favorisce la riconciliazione. Con il loro lavoro negli ospedali e nell'assistenza ai malati i cattolici testimoniano alla popolazione martoriata da odi e vendette, la bellezza del perdono e il desiderio di guardare avanti". È quanto afferma ad AsiaNews, mons. Innocenzo Martinelli, Vicario apostolico di Tripoli.

"Dopo circa un anno di guerra civile - racconta il prelato - la comunità cristiana, composta da filippini e africani subsahariani si stà ricomponendo. Le messa domenicale, soprattutto in Quaresima è molto affollata. C'è un grande desiderio di tornare alla normalità".

Egli precisa che tutte le celebrazioni della Settimana Santa avverranno di giorno, per evitare problemi con le autorità locali, che guardano con sospetto alle attività organizzate dopo il tramonto. In vista della Pasqua la diocesi di Tripoli sta preparando al battesimo otto catecumeni, tutti migranti dell'Africa sub-sahariana.

Secondo il vescovo "è  però difficile ignorare quanto accaduto. "Anche se a Tripoli la situazione è serena - afferma -  42 anni di dittatura e oltre un anno di guerra hanno segnato la popolazione. I cristiani sono a servizio di questa gente, il loro compito è aiutare il popolo libico ad avviarsi verso la normalità, promuovendo il dialogo con le varie fazioni sorte dopo la caduta di Gheddafi". "Invito tutti i cristiani di Libia - aggiunge - a recuperare l'unità e a testimoniare la propria fede in mezzo alla popolazione, aiutandola a guardare avanti con fiducia. E questo attraverso il mistero di Cristo risorto, unica strada per superare odi e violenze".  

La fine del regime ha riaperto i conflitti fra le tribù rivali e secondo gli esperti la Libia è a tutt'oggi un "non stato", sul quale i leader del Consiglio nazionale di transizione (Cnt) - la maggior parte ex collaboratori del rais - non hanno alcuna autorità.  Ieri, 50 persone sono morte a Sabha (Fezzan, Libia meridionale) in scontri fra tribù locali - i tibu e i sabha - per il controllo della regione. Il Cnt  ha inviato un contingente militare di 300 uomini, ma non è ancora riuscito a fermare i combattimenti, che proseguono dallo scorso 25 marzo. In febbraio Amnesty International ha denunciato in un rapporto i crimini commessi dalle milizie ribelli ancora armate, nonostante la fine della guerra e l'ordine di restituire le armi. Per l'organizzazione sono migliaia i guerriglieri che vagano armati per il Paese senza controllo, continuando a uccidere, torturare e imprigionare, tribù e comunità ancora vicine alla famiglia Gheddafi o che non riconoscono l'autorità del Cnt. Nelle carceri libiche vi sarebbero oltre 200 persone, soprattutto migranti dell'Africa subsahariana, detenute senza processo. (S.C.)