Nomade tibetano si autoimmola di fronte a una stazione di polizia
Tamding Thar è morto poco dopo il gesto a causa delle gravi ustioni. A Chentsa, nella provincia di Quinghai, centinaia di persone scendono in piazza per protestare contro l’oppressione cinese.

Lhasa (AsiaNews) -Continua la piaga delle autoimmolazioni dei tibetani contro l'oppressione del governo cinese. Ieri un nomade tibetano si è dato fuoco davanti a alla caserma di polizia di Chentsa (Malho) nella provincia di Qinghai. Decine di poliziotti hanno circondato Tamding Thar, 50 anni, spento le fiamme con estintore e condotto l'uomo in gravissime condizioni dentro la caserma, dove è morto poche ore dopo  a causa delle gravi ustioni riportate.

Secondo fonti del Tibetan Center for Human Rights and Democracy (Tchrd), centinaia di persone si sono radunate davanti alla stazione di polizia finché le autorità non hanno restituito il corpo. Le proteste contro la morte di Thar si sono estese anche al resto della contea. Per evitare disordini le autorità hanno schierato decine di poliziotti nelle piazza e intorno agli edifici governativi.

Nato nel villaggio di Lowa vicino alla città di Chentsathang, l'uomo e la sua famiglia erano stati costretti a  trasferirsi a Chentsa a causa delle politiche di "ricollocazione dei nomadi" portate avanti dal governo di Pechino.

Negli ultimi mesi decine di giovani tibetani, monaci e laici, hanno scelto l'autoimmolazione come gesto estremo di protesta contro il governo cinese. Dall'inizio del 2012 sono quasi 40 i tibetani che si sono auto-immolati per criticare la dittatura di Pechino e chiedere il ritorno del Dalai Lama in Tibet. Per colpire ancora di più la comunità tibetana, lo scorso 24 maggio le autorità cinesi della Regione autonoma tibetana (Tar) hanno emesso una notifica, in cui proibiscono ai membri del partito comunista locale, ai dirigenti, ai funzionari amministrativi e persino agli studenti di partecipare ad attività religiose, fra cui la festa di Saga Dawa (il Vesak, in cui si celebra la nascita, l'illuminazione e l'abbandono della vita terrena del Buddha). (N.C.)