Mar Cinese meridionale, nervi tesi fra Manila, Hanoi e Pechino. Inutile un codice di condotta
Entro luglio una nuova bozza del codice dovrebbe regolare le rivendicazioni territoriali nella zona Asia-Pacifico. Ma per gli esperti sarà inefficace. Studioso vietnamita esorta i Paesi Asean a costituire un fronte comune da opporre alla Cina. Pechino continua la politica “imperialista” nell’area.

Pechino (AsiaNews/Agenzie) - Un Codice di condotta per il Mar Cinese meridionale non risolverà le dispute sui confini territoriali che vedono opposte Manila, Pechino e Hanoi. È quanto sostengono esperti e studiosi, alla vigilia della pubblicazione della bozza di una nuova "carta" chiamata a stabilire le porzioni di oceano che spettano a ciascun Paese. Intanto aumenta il livello di tensione fra le nazioni dell'area, acuito dalla decisione della Cina di indire un bando per lo sfruttamento petrolifero di una zona contesa con il Vietnam e lo sconfinamento - secondo quando denuncia Manila - di imbarcazioni di Pechino in un tratto di mare rivendicato dalle Filippine. E dietro le quinte continua il lavoro diplomatico degli Stati Uniti, che rilancia l'invito ad un accordo per garantire la libera rotta di mercantili e navi in un punto strategico, dove circola quasi la metà del commercio mondiale.

Entro il mese di luglio, le nazioni Asean - associazione che riunisce 10 Paesi del Sud-est asiatico - e la Cina dovrebbero ratificare un nuovo "Codice di condotta" (Coc), in base a un accordo preventivo raggiunto lo scorso anno. Esso dovrà fornire le linee guida per risolvere le controversie relative alle porzioni di mare contese; a partire dal prossimo novembre, con l'entrata in vigore, costituirà il punto di riferimento per garantire pace e stabilità nella regione Asia-Pacifico, sostituendo la vecchia Dichiarazione di condotta (Doc) del 2002 rivelatasi nel tempo inefficace. Tuttavia, gli esperti avvertono che sarà in gran parte inutile e le tensioni resteranno irrisolte. Al riguardo uno studioso vietnamita suggerisce che i Paesi Asean dovrebbero prima stabilire una condotta interna comune, per poi affrontare - uniti - le pretese di Pechino.

Intanto la Cina continua a promuovere una politica "imperialista" nell'area, incurante delle proteste delle altre nazioni interessate e gli inviti alla calma da parte di Washington. Gli Stati Uniti, in particolare, spingono sull'acceleratore per la firma del Coc, sottolineando che continua a essere di "interesse nazionale" per gli Usa il libero accesso al Mar Cinese meridionale dove viaggia quasi il 50% del commercio su acqua. Nei giorni scorsi Hanoi ha denunciato la mossa della Cina, che ha invitato le compagnie straniere a compiere esplorazioni alla ricerca di gas e petrolio in una zona contesa col Vietnam e ricca di 30 miliardi di tonnellate di greggio e 16 trilioni di metri cubi di gas. Per il governo vietnamita il bando della China National Offshore Oil Corporation è "illegale" e costituisce una "minaccia" alla sovranità territoriale. I nove blocchi al centro dello studio, secondo Hanoi, rientrano "nelle 200 miglia marine" di "esclusiva" competenza del Vietnam. La Cina risponde che si tratta di "normali" affari e spera che "il Vietnam rispetterà questi accordi ed eviterà di compiere gesti che complicheranno la vicenda".

Un secondo fronte vede invece opposte Pechino e Manila. La marina filippina denuncia che alcune imbarcazioni cinesi sono tornate nelle acque al largo delle Scarborough Shoal, nel nord-ovest del Paese, dove già nei mesi scorsi si erano registrate tensioni fra i due governi. A innescare la crisi, lo scorso otto aprile, il tentativo della marina filippina di bloccare alcuni pescherecci cinesi, i quali avevano varcato il confine che segna la porzione di mare al centro della contesa. Da qui l'intervento di navi da guerra cinesi, a protezione delle imbarcazioni e degli "interessi" nazionali. Da allora vi è un clima di forte tensione nella zona e a nulla sono valsi gli sforzi diplomatici messi in campo dalla comunità internazionale.

Fra le nazioni della regione Asia-Pacifico, la Cina è quella che avanza le maggiori rivendicazioni in materia di confini marittimi nel mar Cinese meridionale. L'egemonia nell'area riveste un carattere strategico per il commercio e lo sfruttamento di petrolio e gas naturale, di cui è ricco il sottosuolo. A contendere le mire espansionistiche di Pechino vi sono Vietnam, Filippine, Malaysia, il sultanato del Brunei e Taiwan, cui si uniscono la difesa degli interessi strategici degli Stati Uniti nell'area. Nella zona negli ultimi mesi si sono registrati numerosi "incidenti" fra navi militari o imbarcazioni di pescatori - in una zona caratterizzata da una fiorente fauna ittica - battenti bandiere di Pechino, Hanoi e Manila.