Nuove accuse di violenze delle autorità birmane contro i Rohingyas
Gruppi di difesa dei diritti umani parlano di attacchi, uccisioni e impossessamento di proprietà contro la minoranza musulmana da parte di forze di sicurezza e buddisti. Il governatore dello Stato dello Stato di Rakhine nega gli addebiti.

Bangkok (AsiaNews/Agenzie) - Nuove denunce di violenze delle forze di sicurezza birmane e dei buddisti contro i Rohingyas, minoranza musulmana nello Stato occidentale di Rakhine, in Myanmar. A lanciarle è Amnesty International. Da Bangkok Benjamin Zawacki, ricercatore dell'organizzazione, parla di attacchi, uccisioni, impossessamento di proprietà.

Nell'area è tuttora in vigore lo Stato di emergenza. Secondo denunce presentate già in passato da Human Rights Watch (Hrw), le forze di sicurezza birmane hanno compiuto "ispezioni di massa" e altri abusi ai danni delle comunità musulmane della zona. Per gli attivisti le autorità locali sono responsabili di atti "discriminatori" contro le minoranze, perché lasciano impuniti i buddisti Arakan mentre si accaniscono nei confronti dei Rohingya. Un paio di settimane fa l'Onu ha denunciato l'arresto di alcuni operatori umanitari, tra i quali alcuni dipendenti delle stesse Nazioni Unte.

All'origine dei violenti scontri interconfessionali, la condanna a morte, a giugno di tre musulmani, ritenuti responsabili dello stupro e dell'uccisione a fine maggio di Thida Htwe, giovane buddista Arakanese.

Da allora le violenze non si sono praticamente fermate.  Ma ora Win Myaing, governatore dello Stato, contesta le nuove accuse di Amnesty, definendole "prevenute e prive di fondamento". Ma anche Chris Lewa, direttore del The Arakan Project, che si occupa dei Rohingyas nella regione, conferma le accuse. In un colloquio con la BBC ha parlato di arresti di centinaia di persone, di percosse e torture.