Elezioni a Hong Kong, i democratici (divisi) mantengono il diritto di veto
Il blocco democratico conquista 27 seggi e mantiene la possibilità di bloccare le proposte del governo. Ma i veri vincitori sono le nuove formazioni politiche nate dopo la scissione del Partito democratico, che nel 2010 scelse di sostenere le riforme elettorali del governo abbandonando così la richiesta per il suffragio universale.

Hong Kong (AsiaNews) - I partiti democratici di Hong Kong hanno mantenuto il cruciale potere di veto sulle leggi dopo le elezioni nell'ex colonia britannica per il Consiglio legislativo, il mini-Parlamento del Territorio eletto in parte dalla popolazione e in parte da "grandi elettori" scelti in maniera diretta da Pechino e dalle corporazioni locali.

Il blocco democratico ha infatti guadagnato quattro seggi nel Consiglio. Il voto di domenica, un importante test dopo le proteste per le crescenti interferenze di Pechino nella politica interna, metteva in palio 10 seggi in più (da 60 a 70) rispetto alle ultime elezioni. Il mandato dura quattro anni.

Le forze democratiche hanno conquistato il 56,6 % dei consensi totali, ma a causa di una legge elettorale che le penalizza hanno conquistato solo 27 seggi contro i 43 dei partiti filo-cinesi. Anche se le aspettative erano per un successo più ampio, per i democratici è importante aver difeso la soglia di un terzo dei seggi che garantisce il potere di veto sulle leggicostituzionali presentate dal Capo dell'esecutivo dell'ex colonia, tornata nel 1997 sotto la sovranità cinese.

I risultati evidenziano anche una spaccatura interna al blocco, che nel 2010 ha visto la scissione all'interno dello storico Partito democratico e la nascita di People Power e di NeoDemocrat. I due schieramenti minori sono i veri vincitori, dato che non solo hanno guadagnato seggi cruciali, ma hanno anche surclassato i "senatori" democratici dal punto di vista di voti assoluti.

Secondo Chan Chi-chuen, eletto nei Nuovi Territori con mille voti in più rispetto alla vice presidente del Partito democratico Emily Lau, i democratici "devono riflettere in profondità su quello che è accaduto nel 2010, quando hanno appoggiato la proposta presentata dal governo per una riforma elettorale che non ha garantito il suffragio universale".

Hong Kong si batte infatti sin dal 1997 per ottenere da Pechino un sistema elettorale del tutto democratico. Secondo la Basic Law, la mini Costituzione ereditata dagli inglesi (e sottoscritta da Pechino) e in vigore fino al 2043, il Territorio avrebbe diritto a votare i propri rappresentanti in base al sistema "una testa, un voto".

Ma la Cina continentale, che non vuole governi democratici sul proprio territorio, ha invece imposto un complesso sistema - in funzione pure ai tempi della colonia britannica - secondo cui sia i deputati che il governo vengono eletti in parte dal popolo e in parte dal governo centrale e dalle corporazioni e ha posposto il suffragio universale per il 2017.