Ucciso imam salafita con due parenti in Daghestan
di Nina Achmatova
Continua la strage di imam moderati e radicali, mentre esperti avvertono del rischio che la repubblica caucasica scivoli verso la guerra civile, proprio mentre Mosca aspetta con ansia le Olimpiadi di Sochi per rilanciare l’economia della regione.

Mosca (AsiaNews) - Un gruppo di uomini armati e non identificati ha ucciso un leader religioso musulmano e due suoi parenti, nella tormentata repubblica del Daghestan, Caucaso russo. Il 30 ottobre, l'imam salafita Kalimulla Ibragimov, 49 anni, insieme a suo padre e suo fratello, si stavano dirigendo in auto alle preghiere del mattino in una moschea a Derbent, quando il commando è entrato in azione.

Si tratta del terzo imam ucciso nella regione dallo scorso marzo, ma stavolta non si tratta di un moderato. Ibragimov, come riportano le agenzie russe, era un salafita che predicava l'islam fondamentalista. Il direttorato dei musulmani del Daghestan, citato da Ria Novosti, ha dichiarato di non sapere chi fosse la vittima.

Kavkaz Center, sito ufficiale dei ribelli nel Caucaso del nord, ha definito Ibragimov un "martire" spiegando che l'imam "si opponeva ideologicamente a varie sete di idolatri in Daghestan". 

Alcuni vedono l'attentato come una risposta all'omicidio ad agosto di uno dei leader spirituali della comunità sufi daghestana, lo sheikh Said Afandi al Chirkavi, un moderato e promotore del dialogo. Afandi era una personalità molto in vista nella variegata realtà caucasica, in cui si consumano lotte interne tra salafiti in ascesa e sufi, legati alla loro tradizione mistica, rappresentati da sheikh molto rispettati dalla popolazione. Solo quest'anno sono già cinque i leader religiosi musulmani uccisi in Daghestan, compreso un altro salafita i primi di ottobre.

Dopo la cosiddetta "pacificazione" della Cecenia, il Daghestan è diventata la più instabile tra le repubbliche del Caucaso russo, dove Mosca continua a combattere i ribelli islamici che invocano la creazione di un emirato. Negli ultimi anni una vera campagna di attentati è stata sferrata contro i religiosi ufficiali, come risposta alle critiche più esplicite all'islam radicale, mosse dalle moschee locali, su richiesta del Cremlino, interessato a contenere le spinte separatiste.

Il presidente del Daghestan, Magomedsalam Magomedov, ha promesso il pugno di ferro contro "estremismo e terrorismo", ma alcuni esponenti della comunità musulmana locale hanno avvertito del concreto rischio che il Daghestan scivoli in una vera e propria guerra civile. Una prospettiva che mette a rischio la sicurezza delle Olimpiadi invernali di Sochi 2014, organizzate a pochi passi dal Daghestan, e su cui il Cremlino punta per rilanciare l'economia del Caucaso e presentare la regione come possibile meta turistica.

A luglio, l'attentato contro un esponente di spicco dell'islam moderato in Tatarstan - altra repubblica autonoma della Federazione, a circa 2mila chilometri dal Daghestan - e l'uccisione del suo braccio destro nello stesso giorno, ha sollevato timori che il fondamentalismo islamico possa propagarsi fin nel cuore del Paese. Tanto che il presidente Vladimir Putin si era recato immediatamente a Kazan, capitale tatara, per fare appello alla calma.