Bengasi, cristiani copti denunciano torture e tentativi di conversione all'islam
Ritornati in patria 44 dei 48 venditori ambulanti cristiani arrestati in febbraio nel mercato di Bengasi con l'accusa di proselitismo. I salafiti li avrebbero costretti a pronunciare la preghiera di conversione all'islam e a sputare sulle immagini del Papa Shenouda III. Quattro di loro restano ancora nelle mani della polizia libica.

Il Cairo (AsiaNews) - I salafiti libici responsabili di torture, tentativi di conversione e profanazione di immagini cristiane. Lo affermano 44 dei 48 venditori ambulanti egiziani di religione copta al loro ritorno in patria. "Ci hanno costretto a pronunciare al-shahaadatayn - racconta uno di loro - la proclamazione di fede islamica e a sputare sulle immagini del Papa Shenouda III". Fino ad ora il governo egiziano non si è pronunciato sulla condizione dei suoi cittadini e sull'eventualità di discriminazione religiosa. Tuttavia i parenti delle vittime chiedono giustizia e accusano il governo islamista di proteggere i salafiti libici.

Arrestati a metà febbraio nel mercato di Bengasi, con l'accusa di diffondere immagini religiose e immigrazione illegale, i copti ortodossi sono rimasti diversi giorni in carcere sorvegliati da guardie armate salafite. Essi sono stati liberati dopo diversi giorni di trattative fra il governo egiziano e quello libico, accusato in più occasione di non proteggere i cittadini stranieri sul suo territorio. Al momento solo quattro cristiani sono rimasti in Libia trattenuti per ulteriori indagini sulla loro attività.   

Il caso ha suscitato indignazione anche fra la popolazione di Bengasi, che in ottobre è insorta contro le milizie armate salafite accusate di aver organizzato l'attentato al consolato degli Stati Uniti costato la vita all'ambasciatore Cristopher Stevens.

Ad aggravare i rapporti fra il Cairo e Tripoli, ma anche fra il governo di Bengasi e la sua popolazione, vi è il caso di  Ezzat Atallah, anche egli egiziano e cristiano, morto lo scorso 10 marzo in un carcere della capitale della Cirenaica in circostanze misteriose. Come i suoi 48 connazionali era stato arrestato da una milizia salafita con l'accusa di diffondere immagini religiose. Secondo le autorità libiche l'uomo, 45 anni e padre di due figli, soffriva di diabete e cuore e sarebbe deceduto per cause naturali. Oggi i familiari  hanno smentito le dichiarazioni del governo di Bengasi. In un'intervista alla Middle East Christian News Agency (Mcn-direct), la sorella di Atallah sottolinea che "il fratello non ha mai sofferto di diabete o di cuore".

Dalla caduta di Muammar Gheddafi si sono moltiplicati i casi di aggressione o attacchi contro le minoranze straniere residenti in Libia. La comunità più colpita è quella egiziana, soprattutto i cristiani copti cattolici e ortodossi. Lo scorso febbraio un gruppo armato ha attaccato un edificio religioso nella capitale della Cirenaica e aggredito due sacerdoti copti, p. Paul Isaac e il suo assistente.  Alla fine di frebbraio,  quattro cittadini stranieri - un egiziano, un sudafricano, un sud coreano e uno svedese con passaporto Usa - sono stati arrestati con l'accusa di diffondere Bibbie e altro materiale religioso. Essi sono imprigionati in un carcere di Tripoli, in attesa di processo.  

La presenza delle milizie islamiche sta però colpendo anche gli ordini religiosi cattolici presenti da decenni sul territorio libico, impegnati nel lavoro ospedaliero e nella cura degli anziani. A gennaio gli islamisti hanno spinto alla fuga le suore Francescane del Gesù Bambino di Barce e le Orsoline del Sacro Cuore di Gesù di Beida. In ottobre è toccato invece alle suore del convento della Sacra Famiglia di Spoleto di Derna, costrette a lasciare la Libia a causa delle continue minacce degli estremisti islamici, nonostante il parere contrario degli abitanti della città. (S.C.)