Patriarca maronita: rischio di conflitti religiosi nelle possibili derive oscurantiste della Primavera araba in Siria
di Fady Noun
Il cardinale Béchara Raï parla di "forze oscure" che operano per disarticolare Stati e istituzioni. "La crescita del fondamentalismo islamico minaccia i musulmani moderarti, che sono la maggioranza". "Fra incudine e martello i cristiani non hanno scelta". Timori che il conflitto porti a inasprire l'antagonismo tra sunniti e sciiti libanesi.

Beirut (AsiaNews) - Lo slancio democratico della "primavera araba" nasconde sempre meno il rischio, almeno in Siria, della discordia confessionale, che minaccia di estendersi ad alcune regioni libanesi, e la possibile deriva oscurantista. Alla viglia della sua partenza per la Francia, in programma l'8 aprile, il patriarca maronita, cardinale Béchara Raï, torna a ribadire la sua presa di distanza da un fenomeno che aveva suscitato tante speranze. "Forze oscure - ha detto in tono grave lunedì scorso, davanti all'ambasciatore francese Patrice Paoli - operano per disarticolare Stati e istituzioni, e cercano instancabilmente di accendere la 'fitna' tra le diverse confessioni religiose che, finora, coesistono pacificamente e questo, per ironia, in nome della democrazia e della 'primavera araba'".

Le riserve espresse dal patriarca nei confronti della rivolta araba, in particolare quella in Siria, chiaramente indicata dal capo della Chiesa maronita, sembrano essere state capite meglio di quelle che egli aveva indicato in occasione della sua prima visita nella capitale francese, nel settembre 2011.

In 18 mesi, in effetti, molte cose sono divenute più chiare sia per i libanesi che per i responsabili francesi. Questi ultimi, d'altro canto, non hanno appena deciso di rinunciare all'idea di armare l'Esercito libero siriano, nel timore che le armi finiscano nelle mani di gruppi fondamentalisti?

Per ciò riguarda la valutazione del patriarca, essa riguarda, a quanto sembra, sia i fondamentalismi jiahdisti di Jabhat al-Nosra, che consolidano la loro presa su alcune zone di conflitto in Siria, sia il fondamentalismo politico portato avanti dai Fratelli musulmani sul (cattivo) modello egiziano. Il fatto che egli parli di forze "oscure" può far pensare che questi gruppi siano manipolati.

"La Francia delle luci non sarà indifferente (...) di fronte alla crescita del radicalismo e del fondamentalismo e al proliferare di un oscurantismo rinforzato dalle contraddizioni politiche e dalle interferenze regionali e internazionali", ha affermato il capo della Chiesa maronita, davanti all'ambasciatore Paoli. E ha chiamato la Francia, per laica che sia, alla "chiaroveggenza", chiedendole di non ignorare il ruolo di "fermento democratico" che giocano i cristiani all'interno delle società arabe. "La crescita del fondamentalismo islamico minaccia i musulmani moderarti, che sono la maggioranza. Essi rischiano di cadere nel pensiero fondamentalista, se i cristiani perdessero la loro presenza effettiva e la loro influenza benefica all'interno delle società arabe".

Evidenziando questo aspetto, il patriarca va contro alcune correnti che, per ragioni esclusivamente politiche, non perdono occasione per demonizzare l'islam e mettere musulmani moderati ed estremisti nello stesso fascio. Il cardinale cerca anche di mettere in guardia l'Occidente sulle conseguenze che potrebbe avere, anche per esso, la "desertificazione" della presenza cristiana in Oriente.

E' per questo che, d'accordo con tutti i capi religiosi cristiani cattolici e ortodossi, il patriarca torna a chiedere oggi, come aveva fatto per la prima volta nel settembre 2011, la fine immediata delle violenze in Siria e una soluzione politica del conflitto. A suo avviso, anche se non l'aveva mai espresso apertamente, non si è mai trattato di appoggiare un regime, ma di promuovere una soluzione politica che riduca il pericolo di un esodo dei cristiani dalla Siria. Fra incudine e martello, insistono a Bkerke, i cristiani non hanno scelta, preoccupati dall'impatto attuale dei combattimenti che rischiano di durare nel tempo, se non indefinitamente, più che dalle conseguenze storiche a lungo termine.

Per un libanese cosciente del rischio, questa richiesta è anche autodifesa. In diverse regioni libanesi, a cominciare da Tripoli, scontri sporadici oppongono fondamentalisti sunniti e forze filo-siriane. Sul piano nazionale, si inasprisce l'antagonismo tra sunniti e sciiti. Non si sono visti dei teppisti sciiti radere la barba di un religioso sunnita che avevano bloccato in un quartiere di Beirut? Certo, in Libano è ancora presente il pericolo jihadista. I circa 2.700 elementi armati che sono nel Paese sono geograficamente sparpagliati e seguono obbedienze differenti. Il loro peso è, al momento, limitato. Questo non è però un motivo per trascurare il pericolo potenziale di una possibile radicalizzazione della comunità sunnita che rischia di sfociare su violenze inaccettabili. La radicalizzazione è latente e rischia di sbocciare al verificarsi del primo incidente. Finora, fortunatamente, l'esercito è rimasto fuori da questo contagio e ha potuto controllare queste fiammate di violenza. Ma si può chiedere ai soldati, che secondo gli specialisti sono già super-impegnati, di essere dovunque allo stesso momento?