Papa: il diplomatico vaticano cerchi la libertà interiore; non la carriera, ma il servizio al Vangelo
Francesco riceve gli allievi della Pontificia accademia ecclesiastica, che forma i futuri rappresentanti pontifici. L'esempio di Giovanni XXIII, che negli anni nel quali fu nunzio cercava di agire secondo "verità, giustizia, carità, soprattutto carità". "Essere disposti ad integrare ogni vostra visione di Chiesa, pure legittima, ogni personale idea o giudizio, nell'orizzonte dello sguardo di Pietro e della sua peculiare missione al servizio della comunione e dell'unità del gregge di Cristo, della sua carità pastorale, che abbraccia il mondo intero".

Città del Vaticano (AsiaNews) - Seguire lo "spirito" di Giovanni XXIII, che intese il servizio diplomatico della Santa Sede, del quale fece a lungo parte, come "sforzo vigilante di ridurre tutto, principi, indirizzi, posizioni, affari, al massimo di semplicità e di calma; con attenzione a potare sempre la mia vigna di ciò che è solo fogliame inutile... ed andare diritto a ciò che è verità, giustizia, carità, soprattutto carità". Al suo primo incontro con gli allievi della Pontificia accademia ecclesiastica, che forma i futuri rappresentanti pontifici, ricevuti in Vaticano, papa Francesco ha centrato le sue raccomandazioni sulla "libertà interiore" che porta a non cercare "ambizioni o mire personali, che tanto male possono procurare alla Chiesa, avendo cura di mettere sempre al primo posto non la vostra realizzazione, o il riconoscimento che potreste ricevere dentro e fuori la comunità ecclesiale, ma il bene superiore della causa del Vangelo".

Avere libertà interiore, nelle parole di Francesco, "anzitutto significa essere liberi da progetti personali: da alcune delle modalità concrete con le quali forse, un giorno, avevate pensato di vivere il vostro sacerdozio, dalla possibilità di programmare il futuro; dalla prospettiva di permanere a lungo in un 'vostro' luogo di azione pastorale. Significa rendervi liberi, in qualche modo, anche rispetto alla cultura e alla mentalità dalla quale provenite, non per dimenticarla e tanto meno per rinnegarla, ma per aprirvi, nella carità, alla comprensione di culture diverse e all'incontro con uomini appartenenti a mondi anche molto lontani dal vostro".

Significa poi non solo non avere ambizioni personali, ma anche "essere disposti ad integrare ogni vostra visione di Chiesa, pure legittima, ogni personale idea o giudizio, nell'orizzonte dello sguardo di Pietro e della sua peculiare missione al servizio della comunione e dell'unità del gregge di Cristo, della sua carità pastorale, che abbraccia il mondo intero e che, anche grazie all'azione delle Rappresentanze Pontificie, vuole rendersi presente soprattutto in quei luoghi, spesso dimenticati, dove maggiori sono le necessità della Chiesa e dell'umanità".

"In una parola, il ministero al quale vi preparate vi chiede un uscire da voi stessi, un distacco da sé che può essere raggiunto unicamente attraverso un intenso cammino spirituale e una seria unificazione della vita attorno al mistero dell'amore di Dio e all'imperscrutabile disegno della sua chiamata". Per questo il Papa raccomanda  "grande cura della vita spirituale, che è la sorgente della libertà interiore" e indica l'esempio di Giovanni XXIII. "Rileggendo i suoi scritti, impressiona la cura che egli sempre pose nel custodire la propria anima, in mezzo alle più svariate occupazioni in campo ecclesiale e politico. Da qui nascevano la sua libertà interiore, la letizia che trasmetteva esternamente, e la stessa efficacia della sua azione pastorale e diplomatica". E, "giunto al termine del suo lungo servizio come Rappresentante pontificio, ormai patriarca di Venezia, così scriveva: «Ora io mi trovo in pieno ministero diretto delle anime. In verità ho sempre ritenuto che per un ecclesiastico la diplomazia così detta deve sempre essere permeata di spirito pastorale; diversamente non conta nulla, e volge al ridicolo una missione santa»".