Xinjiang: dopo gli scontri etnici, l’esercito torna per le strade
Le violenze della settimana scorsa hanno causato decine di vittime e arresti: ora il governo centrale dichiara di “essere pronto a tutto” per fermare “i gruppi terroristici dell’area”. Pechino teme l’avvicinarsi del 5 luglio, quarto anniversario degli scontri del 2009 che costarono la vita a più di 200 persone.

Urumqi (AsiaNews/Agenzie) - Dopo le violenze della settimana scorsa, il governo centrale cinese ha inviato truppe di paramilitari nella provincia occidentale del Xinjiang, teatro di scontri fra la locale etnia uighura e l'etnia han, maggioritaria in Cina,emigrata in massa nella regione. Nel corso dell'ultimo confronto a fuoco, il peggiore in quattro anni, sono morte 35 persone: non è ancora chiaro chi lo abbia iniziato e per quali motivi.

Lo scorso 26 giugno, la folla ha attaccato un edificio governativo e una stazione di polizia a Lukquan; la polizia ha aperto il fuoco ad altezza d'uomo uccidendo decine di manifestanti. Due giorni dopo un gruppo armato ha cercato di replicare gli scontri a Hotan, ma è stato fermato - pare senza vittime - dagli agenti dell'antiterrorismo. Almeno 19 persone sono state fermate per "aver diffuso notizie allarmanti" con i cellulari.

Il ministero della Pubblica sicurezza ha confermato sul proprio sito internet l'invio di militari nell'area: Pechino teme l'avvicinarsi del 5 luglio, quarto anniversario dei violenti sommovimenti provinciali che nel 2009 costarono la vita a più di 200 persone. Yu Zhengsheng, membro della Commissione permanente del Politburo che ha la responsabilità di Xinjiang e Tibet, ha dichiarato: "Prenderemo ogni decisione utile a fermare i gruppi terroristi e le organizzazioni estremiste nell'area".

La provincia è da molto tempo epicentro di violenze e tensioni fra l'etnia uighura - un tempo maggioritaria nella zona - e l'etnia han. Il governo centrale di Pechino ha favorito l'emigrazione di han nella provincia proprio per cercare di "livellare" la realtà sociale del Xinjiang, ma i continui scontri dimostrano che l'esperimento è fallito.

Gli uighuri sono musulmani e turcofoni: da diversi decenni hanno un rapporto conflittuale con il governo centrale cinese. Dopo alcuni tentativi (falliti) di ottenere l'indipendenza come "Turkestan orientale", i leader etnici hanno chiesto a Pechino la possibilità di preservare lingua, cultura e religione locale. Il governo cinese - pur concedendo agevolazioni fiscali e sociali - ha deciso invece di usare la mano pesante e ha lanciato una campagna di controllo e repressione in tutta la zona.

La mano pesante del regime si fa sentire anche sulle comunità religiose islamiche, sospettate di educare a un islam integralista e terrorista. Vi è controllo e censura su pubblicazioni islamiche, controllo sulle prediche degli imam, ai giovani prima dei 18 anni è proibito andare in moschea.